A cosa serve l’omelia?
Spesso, la domenica, quello dell’omelia è il momento in cui non riesco a stare concentrata. La tentazione a distrarsi è forte e se mi guardo intorno vedo che molte persone si trovano nella mia stessa situazione. Il fatto è che il parroco all’omelia più che spiegare le Scritture parla di tutto e fa riferimenti poco pertinenti e poco interessanti che fanno sì che la mia attenzione si trasformi in un puro esercizio di sopportazione delle parole pronunciate. Potrei avere le idee confuse ma vorrei sapere a cosa serve davvero l’omelia. E poi: ci sono dei criteri cui il sacerdote deve attenersi?
Fiammetta Fiori
Se volgiamo lo sguardo al passato la realtà non sembra migliore. Addirittura San Paolo ha avuto ascoltatori che si addormentavano in posizioni pericolose e correndo gravi rischi (Atti 20,7ss). Sant’Agostino in una sua celebre opera sulla catechesi ai principianti elenca le noie e le fatiche sia degli ascoltatori che dei predicatori (de cathechizandis rudibus, cap.X). San Giovanni Crisostomo, nonostante il suo soprannome «bocca d’oro», si lamenta che i suoi ascoltatori preferiscono guardare il sacrestano che accende i lumi che seguire il suo insegnamento (Omelie sulla Genesi, sermone IV). Questo elenco non finirebbe mai, e solo per sorridere un po’ in agrodolce, ascoltiamo Gioacchino Belli nella descrizione della messa papale al momento dell’omelia quando cardinali e altri se la dormono tranquillamente: «E nun ve danno più segno de vita – fin che nun je s’accosta er caudatario – a dije: Eminentissimo è finita».
Nell’uso corrente italiano la parola «predica» ha spesso un significato di cosa noiosa, moralistica, inutile. Verrebbe da concludere che se l’omelia spesso non raggiunge il proprio scopo, anzi sembra controproducente, non sarebbe opportuno sopprimerla? Eppure appartiene alla prassi pastorale della Chiesa da sempre, è uno degli strumenti normali della trasmissione della fede. Solo per fare un esempio. In una delle più antiche descrizioni della celebrazione eucaristica, la prima apologia di san Giustino martire, rivolta all’imperatore Antonino Pio (138-161) si legge: «Nel giorno chiamato del Sole, ci si raduna tutti insieme, abitanti delle città o delle campagne, e si leggono le memorie degli Apostoli o gli altri scritti dei Profeti, finchè il tempo consente. Poi, quando il lettore ha terminato, colui che presiede, con un discorso ci ammonisce ed esorta a imitare questi buoni esempi». (I Apologia, n.65). In questo testo così breve vi sono già gli elementi caratteristici dell’omelia: proclamazione della Parola di Dio, in un contesto di preghiera specialmente eucaristico e attualizzazione, per noi qui e ora, della Parola proclamata.
Per rispondere alla domanda della gentile lettrice, a questo dovrebbe servire l’omelia: commento e attualizzazione della Parola di Dio. E a questo sono servite le tante, splendide omelie dei padri della Chiesa, fino a diventare una forma letteraria distinta da altre come la catechesi, la lectio divina ecc… In tutti i libri liturgici cominciando dal Messale si danno norme per l’omelia nella concreta circostanza che riunisce la comunità cristiana: la messa domenicale, il matrimonio, il funerale, una ordinazione sacra ecc….che possono essere così riassunte: «annuncio delle mirabili opere di Dio nella storia della salvezza e nostra partecipazione attraverso l’evento-sacramento celebrato».
Mi permetto due osservazioni. Per moltissimi cristiani, la celebrazione domenicale è l’unica occasione non solo di ascoltare la Parola di Dio, ma anche di essere informati, di partecipare alla vita della comunità parrocchiale. Questo forse spiega, anche se non giustifica del tutto, che l’omelia tenti di essere onnicomprensiva e di voler comunicare tante cose. Seconda osservazione: la parola «omelia» deriva da un verbo greco che significa conversare, intrattenersi Ora si conversa almeno in due: Voglio dire che colui che ascolta deve porsi nell’atteggiamento giusto, di attesa, di simpatia, di accoglienza della Parola di Dio, anche se viene offerta in maniera che lascia a desiderare.