A chi spetta scegliere la traduzione della Bibbia?
Giovanni Casini – Firenze
Questo problema non appartiene solo ai giorni nostri, né alla cultura cristiana. L’uso antico della sinagoga, infatti, prevedeva la traduzione versetto per versetto della Torah di Mosè dall’ebraico in aramaico, e a gruppi di versetti tutti gli altri libri biblici, in modo che le Scritture fossero comprensibili a tutti. Per la stessa ragione nacque la versione dell’Antico testamento in greco, per le comunità ebraiche che non comprendevano la lingua dei padri. Lo stesso san Girolamo usò il latino, la lingua del suo tempo, completando il lavoro iniziato già in precedenza: si tratta della cosiddetta versione Vulgata (395-410 ca.).
Comunque, ogni traduzione appare sempre datata appena appare, se vuole servirsi di una lingua in continua evoluzione e quindi troppo attuale, per rimanere inalterata a lungo senza rinviare al testo originale, e richiedere una nuova traduzione. E così via.
In ogni caso non è il singolo vescovo a decidere quale traduzione usare, ma la Cei, e dietro ad essa la Congregazione vaticana. Il magistero dei vescovi esercita anche così il suo ruolo di servizio di custodia alla Parola di Dio, come insegna il Concilio Vaticano II in uno dei suoi documenti più significativi, la Dei Verbum.