«Vivere felici senza televisore. E siamo più di quanto si pensi»

Egregio direttore, sono quasi dieci anni che vivo senza la televisione. Le dico la semplice verità: non mi manca. Anzi vivo più contento. Quali sono i motivi che mi hanno indotto a questa scelta? Informazioni parziali, programmi demenziali, pubblicità invadente, perdita di tempo, indottrinamento, ecc. Noi senza televisione siamo più numerosi di quello che si possa credere. Non sono i cento euro annui che mi fanno diventare povero, ma la libertà di non possederla. Quando la vedo nei conventi, nelle stanze dei preti e nelle parrocchie la ritengo un pericolo. La radio mi rende più libero, posso fare tante cose quando l’ascolto. Alcune volte quando sono in albergo e gli dò un occhiatina mi convinco ancora di più che ho fatto una scelta giusta. La maggior parte dei cento canali sono osceni, demenziali, vendono quasi sempre roba fasulla o inutile. Se è possibile meglio diffidare della televisione e vivere liberi.

Roberto Lombardo

Carissimo Lombardo, non c’è dubbio: si può vivere senza televisore, senza internet, senz’auto e senza lavatrice. Per il semplice fatto che sono strumenti a nostra disposizione, dei quali si può fare a meno senza per questo peggiorare la qualità della vita. C’è semmai da chiedersi se la possono in qualche modo migliorare. Essendo strumenti, di per sé non sono né buoni né cattivi. Dipende dall’uso che se ne fa. Se prendo l’auto per spostarmi da una città all’altra per incontrare parenti o amici, oppure per andare al lavoro, è un conto. Se la prendo per provare l’ebbrezza della velocità e mettere a repentaglio la mia vita e quella degli altri è un altro conto. Internet ha rivoluzionato il mondo della comunicazione al pari dei caratteri mobili di Gutenberg. Posso comunicare da un capo all’altro del mondo in tempo reale. Ma lo posso anche usare per molestare o commerciare prodotti pedopornografici. Eppure lo srumento è sempre quello: è neutro. Lo stesso vale per la televisione. Dipende dall’uso che se ne fa e dalla nostra capacità critica. Può essere, come suol dirsi, una finestra sul mondo. Ma può anche essere causa di massificazione, di pensiero unico, di conformismo. «Voglio essere libero anche nell’epoca dell’immagine», titolova un vecchio libretto dell’inizio degli anni Settanta del gesuita massmediologo padre Nazareno Taddei. E liberi lo si può essere realmente, a patto che si sappia «leggere» e interpretare. Non subire. Attenzione, però, che anche la radio è un mezzo di comunicazione di massa. Forse meno invasivo, ma non per questo meno bisognoso di essere «letto» e interpretato.

Andrea Fagioli