Una politica incapace di dare risposte a un’emergenza sociale
Caro direttore, vorrei affrontare un tema di attualità, ma vorrei dire di drammaticità sociale e politica, per i contenuti che vado ad esporre alla tua attenzione. Scrivo di domenica e, per il maggior tempo a disposizione, leggo con più attenzione i quotidiani che evidenziano sulle loro prime pagine il drammatico evento di questi giorni in riferimento ai tre suicidi di Civitanova (Macerata). A questo proposito, uno dei tanti titoli, con spazio a quattro colonne recita: «Rabbia davanti alle tre bare. “Vergogna è strage di Stato”». E se quello che è avvenuto in una regione tra le più tranquille d’Italia (difficilmente la cronaca nera nazionale appare in territorio marchigiano) è effetto di una causa politico-sociale, la mia riflessione si rivolge ai politici perché tutti insieme prendano coscienza della causa: un’emergenza nazionale che sta devastando l’intero Paese.
Se in Italia, improvvisamente, scoppia una tragedia – si pensi all’alluvione di Firenze, o al terremoto dell’Aquila, o ad altre ricorrenti catastrofi – tutti gli italiani: associazioni di volontariato, Croce Rossa, Vigili de fuoco, Misericordie, Protezione civile… e anche le istituzioni e i politici, si mobilitano, senza divisioni, per intervenire verso quella emergenza nazionale. Da qui la mia domanda: è mai possibile che oggi, davanti a quella che sta diventando calamità nazionale, della quale il triplice suicidio di Civitanova è un tangibile, drammatico segno, la politica italiana, collegialmente non ne prenda coscienza? Eppure, i deficit, la disoccupazione, la recessione, l’emergente povertà, i crescenti scandali, i fallimenti di alcune banche, la chiusura di migliaia di aziende e tutti gli altri malesseri nazionali, non sono forse paragonabili ad alluvioni o a terremoti, simile a quelli appena nominati? E allora la politica che fa? Perché non riesce ad intervenire lasciando da parte gli occulti interessi, tanto più che oggi sono stati sepolti anche i contrapposti ideali?
Un anno fa, per contrasti di parte, si diede colpa alla ingovernabilità del Paese, con un mandato ad un Governo tecnico fatto fallire da chi lo aveva sostenuto. E ancora: in alternativa, poco più di un mese fa, tutto il popolo fu appellato attraverso nuove elezioni, ma davanti al fallimento dei nuovi eletti, mentre c’è chi crede ancora al ricorso di altre elezioni, nessuno prende coscienza degli sforzi sovrumani del sofferente presidente Napolitano. Lui, nel ruolo di presidente della Repubblica, ce l’ha messa tutta ed è l’unico che pare aver capito appieno lo spessore di questa nuova tragedia nazionale, ma tutti gli altri che fanno? Per i malesseri appena denunciati, il Paese è come seppellito sotto un nuovo «terremoto nazionale» e i nuovi eletti hanno il sacrosanto dovere, prima che sia troppo tardi e prima che tutto diventi irreversibile, di intervenire, mettendo da parte i personalismi di parte e al primo posto il bene dell’Italia.
Carissimo Mario, condivido questo tuo richiamo ai politici perché pensino al bene comune e non agli interessi propri. Lo faccio mettendo in pagina questa lettera nel pomeriggio in cui è appena arrivata in redazione la notizia del suicidio per problemi economici di un imprenditore di Santa Croce sull’Arno (leggi). Hai ragione a parlare di emergenza sociale e di politica insensibile o comunque incapace di dare risposte.
Andrea Fagioli