Una generazione schiacciata tra nonno e nipote
Se c’è un concetto che Matteo Renzi ha sempre ribadito con determinazione in tutta la sua carriera politica è la rivendicazione che il potere debba passare alle nuove generazioni e che le vecchie siano invece da «rottamate». Personalmente ritengo sgradevole che si creino artificiose contrapposizioni tra generazioni, ma come dare torto al neo segretario del Pd se, ad esempio, in un recente numero di Toscana Oggi, scopriamo che Paolo Tesi, glorioso dirigente sindacale, ormai da molti anni in pensione, completerà il proprio mandato al Cnel addirittura oltre il settantesimo anno di età, con una indennità di oltre venticinquemila euro annui. Faccio scherzosamente osservare che le generazioni «di mezzo» rischino di trovarsi schiacciate tra le pretese di nonni e nipoti: i primi non vogliono mai andarsene e i secondi premono anzitempo per sottrarre spazi di potere.
Il tema è ovviamente complesso e per trattarlo adeguatamente occorrerebbe esaminare le dinamiche socio-demografiche degli ultimi decenni: ricordo solamente che la mia generazione (nata negli anni ’50), la più numerosa del dopoguerra, ha cominciato a lavorare partendo dalla gavetta, cominciando a valere solo dopo i quarant’anni, magari dopo aver messo su famiglia e, solo dopo i cinquanta, è riuscita a sottrarre un po’ di potere alle precedenti generazioni. Le nuove generazioni, nonostante siano numericamente contenute a causa della forte contrazione della natalità, si sentono sacrificate, non valorizzate nelle proprie competenze in uscita dai percorsi di studio e di essere costretti a realizzarsi all’estero. Se è senz’altro deplorevole disperdere preziose competenze, va però rilevato che con il passaggio dall’industria al terziario avanzato, i percorsi di inserimento al lavoro si sono fatti assai meno certi e prevedibili ed i giovani non possono aspettarsi un livello di ingresso che per noi sarebbe stato un obiettivo da conseguire solo nel corso della carriera.
Ma è poi vero che queste rivendicazioni siano i reali sentimenti della maggioranza dei giovani? Le preoccupazioni, costantemente ribadite dai mass media, sembrano piuttosto quelle tipiche delle vecchie generazioni, soprattutto di una classe media che teme di perdere o di non poter trasmettere il proprio potere e tenore di vita, rimessi pesantemente in discussione con la crisi. Quanti consolidati luoghi comuni sono stati sovvertiti negli ultimi anni – ad esempio – nel commercio, nei servizi, nelle professioni e nel pubblico impiego? Sicuramente la nostra generazione ha fatto molti errori: l’aver accumulato un ingente debito pubblico, dissipato preziose risorse, tollerato l’evasione fiscale, non prendendo atto per tempo del grave sbilanciamento dei costi del proprio sistema di welfare, ma soprattutto per l’incapacità di compiere indifferibili scelte d’innovazione sociale, economica e istituzionale. Tutto quanto però non autorizza ad attribuire una «cambiale in bianco» ad una nuova generazione che rivendica il ricambio solo sulla base degli errori della precedente e senza affatto indicare «cosa e come».
Il futuro del paese non può essere declinato sul piano della contrapposizione, ma di una solidarietà intergenerazionale capace di legare l’intera società: a cominciare dalle scelte delle prossime settimane, dovremmo compiere scelte coraggiose i cui costi siano trasparenti, equamente condivisi, non rinviando gli oneri al futuro e senza riguardo verso precostituite rendite di posizione, ma anche promuovendo sentimenti di coesione sociale, condivisione e reciprocità, consapevoli che ci possiamo salvare solo tutti assieme e che la sofferenza dell’altro non tarderà a ripercuotersi anche su coloro che si pretendono immuni.
Carissimo Daniele, appartengo alla tua generazione, ma sono fermamente favorevole al ricambio generazionale, soprattutto in politica, convinto che il meglio di se stessi, dal punto di vista dell’energia e della lucidità mentale, lo si possa dare proprio intorno ai quarant’anni. Ma c’è quarantenne e quarantenne: la data di nascita non è sufficiente a determinare un buon politico. Non mi è piaciuto pertanto che il presidente del Consiglio, Enrico Letta (che tra l’altro ha dimostrato, in altre circostanze, doti da statista), abbia sottolineato, nella tradizionale conferenza stampa di fine anno, con una certa enfasi, che il 2013 «sarà ricordato come l’anno della svolta generazionale», che ha portato ad affermarsi «una generazione di quarantenni senza alcun precedente nella storia repubblicana, se non nell’immediato dopoguerra». Così facendo si rischia davvero una contrapposizione intergenerazionale, con Letta che tra l’altro, con i suoi quasi 48 anni, si avvicina ormai ai cinquantenni. Spazio dunque ai più giovani, se lo meritano. E alcuni lo meritano davvero. Senza dimenticare che le generazioni precedenti, se anche hanno fatto degli errori, di quegli errori probabilmente hanno fatto tesoro.
Andrea Fagioli