Un rapporto perverso con il clima e l’ambiente

Caro direttore, lo scorso anno, di questa stagione, qualcuno disse: «Usate alberi di Natale di plastica anziché quelli verdi che spogliano i boschi». La retorica è uno dei difetti del nostro tempo. Quel tale si proclamava «ambientalista» ma ignorava che gli alberi di plastica inquinano mentre quelli verdi sono proventi di necessarie potature oppure sono coltivati in Casentino per un duplice scopo: un’ immediata piccola risorsa e soprattutto perché con le loro radici dissodano in modo naturale il terreno e lo preparano ad altre coltivazioni, ad esempio quelle dei frutteti di alta quota.

Per dirsi davvero «ambientalisti» occorrono amore e anche conoscenza del mondo che ci circonda. Questa conoscenza comprende l’ecologia in senso stretto, sapere distinguere tra argille e pietre intrusive, tra un bagolare e un pino domestico, tra un carpine e un cedro del Libano. Per essere ambientalisti bisogna conoscere anche i segni della vita dell’uomo nel territorio, della nostra storia, qualcosa che, come scrisse Benedetto Croce, non ci lasciamo mai dietro di noi perché i suoi effetti continuano nel presente. Ma ricordate Giovanni Gualberto? È il santo del perdono, del rigore civile e religioso, ma anche dei forestali e dell’ambiente. Aggiungo in conclusione che la mia lunga esperienza di cronista mi ha dato spesso motivi di perplessità su quanti si proclamano «ambientalisti» per pura retorica, mentre ho avuto ammirazione per quelli «veri».

Nereo LiveraniFirenze

Caro Nereo, la tua lettera, scritta prima dell’ennesimo dramma ambientale vissuto dalla nostra regione, è arrivata in redazione nel giorno in cui si accavallavano le notizie di frane e alluvioni dalla provincia di Massa Carrara con quelle dalla Maremma e da altre zone della Toscana. Ovunque distruzione e persino, ancora una volta, morte. Il clima sta cambiando, dice almeno una parte degli studiosi, ma è anche vero che il nostro rapporto con la natura è sempre più perverso. Persino a livello di terminolgia: il caldo estivo lo chiamiamo con il nome del diavolo; le piogge autunnali, sia pure realmente intense, diventano «bombe d’acqua»; siamo perennemente in «allerta meteo». Insomma, viviamo le stagioni con angoscia. Ma questo, in fin dei conti, sia pure assurdo, sarebbe il meno. Il più è infatti l’assenza di autentiche politiche ambientali oltre alla mancanza di una cultura in questo senso. Dietro l’ambientalismo attuale c’è spesso tanta ideologia. Basterebbe invece, come dici tu, «amore e conoscenza del mondo che ci circonda». Insomma, basterebbe avere un po’ più di rispetto per il Creato. Non possiamo «dimenticare – come è stato scritto nel messaggio delle apposite commissioni Cei per l’ultima Giornata per la Salvaguardia del creato (testo) – le ferite di cui soffre la nostra terra, che possono essere guarite solo da coscienze animate dalla giustizia e da mani solidali. Guarire è voce del verbo amare, e chi desidera guarire sente che quel gesto ha in sé una valenza che lo vorrebbe perenne, come perenne è l’Amore di Dio che si manifesta nella bellezza del creato, a noi affidato come dono e responsabilità. Con esso, proprio perché gratuitamente donato, è necessario anche riconciliarsi quando ci accorgiamo di averlo violato».

Andrea Fagioli