Umberto Bossi e i «vescovoni»

Caro Direttore,mi consenta di rilevare che alla pag. 3 del settimanale, n. 32, interamente dedicata ad immigrati e lavoro, dando notizia delle dichiarazioni di Bossi in merito a quanto accaduto sul sagrato del Duomo di Treviso, si usa il condizionale, mettendo così in dubbio che egli abbia diffamato i nostri «vescovoni» ed abbia affermato che «i veri razzisti sono le associazioni cattoliche che agiscono al solo scopo di riempirsi il portafoglio». La verità è che tali affermazioni sono vere e tali rilevate dall’«Osservatore Romano» che gli ha risposto, giustamente, per le rime.Cesare MatteiniFirenze Col senno di poi posso riconoscere che l’uso del condizionale può aver tratto in inganno, perché può esser suonato al lettore come un mettere in dubbio la veridicità di quanto riportato. Non era però questa la nostra intenzione, quanto quella di prendere totalmente le distanze dalle affermazioni di un personaggio come Umberto Bossi. Quasi a voler dire, con velata ironia, che quelle frasi sono talmente fuori luogo da sembrare «incredibili» in bocca ad un ministro della Repubblica. Purtroppo sono invece talmente abituali che il «senatur» si è ripetuto domenica, accusando «un certo cristianesimo» di aver «lanciato l’ideologia egualitaria… facendo credere che le risorse erano illimitate e quindi anche l’ospitalità».E non pensiamo che queste frasi siano lo scotto da pagare alle intemperanze di un politico «anomalo». Basta guardare a cosa dicono, ogni giorno, gli altri esponenti della Lega a partire dal sindaco di Treviso che giusto domenica scorsa ha arringato i suoi compagni di partito ammonendoli a guardarsi dai giornalisti e dai «preti rossi» che «sostengono gli immigrati» ai quali andrebbero prese «non solo le impronte delle dita ma anche dei piedi e del naso». C’è chi ha giustamente osservato che se chiedessimo le impronte del cervello ai leghisti… prelevarle a Gentilini sarebbe impossibile.