Tra il dire e il fare nell’accoglienza dei profughi

Se l’appello del Papa, rivolto domenica scorsa alle parrocchie d’Italia e d’Europa, di accogliere una famiglia di rifugiati fosse accolto nelle 85 mila parrocchie italiane, avremmo il grande risultato di salvare tanti poveretti. Anche senza tener conto di quanto chiesto dall’arcivescovo Nosiglia alle sue parrocchie in merito all’accoglienza di tre famiglie per ogni unità parrocchiale. Auguriamoci che, come spesso accade, fra il dire e il fare non ci sia di mezzo il mare. Quel mare «mostrum» che, purtroppo, grazie alla sordità di tanti è diventato un immenso cimitero.

Andrea IardellaLivorno

Credo proprio, caro Iardella, che tra il dire e il fare non ci sarà di mezzo il mare, perché almeno le diocesi, anche qui in Toscana, sono da tempo impegnate nell’accoglienza di profughi e rifugiati ospitati in strutture messe a disposizione proprio da parrocchie e enti diocesani. In ogni caso dopo l’appello del Papa sarà dato ulteriore impulso all’azione di solidarietà, «sorretti – come ha spiegato il cardinale Giuseppe Betori, presidente della Conferenza episcopale toscana – dalle motivazioni profonde della carità cristiana».

Del resto, «di fronte alla tragedia di decine di migliaia di profughi che fuggono dalla morte per la guerra e per la fame, e sono in cammino verso una speranza di vita, il Vangelo – ha detto Papa Francesco – ci chiama, ci chiede di essere “prossimi” dei più piccoli e abbandonati. A dare loro una speranza concreta. Non soltanto dire: “Coraggio, pazienza!…”. La speranza cristiana è combattiva, con la tenacia di chi va verso una meta sicura». Da qui l’«appello alle parrocchie, alle comunità religiose, ai monasteri e ai santuari di tutta Europa a esprimere la concretezza del Vangelo e accogliere una famiglia di profughi» come «gesto concreto in preparazione all’Anno Santo della Misericordia».

Sono anche convinto, caro Iardella, che qualcosa stia finalmente cambiando nel sentire comune della gente. Quello che è successo nei giorni scorsi in Europa con i volontari che grazie al tam tam dei social network sono andati a prendere con le proprie auto i profughi a Budapest sono un bel segnale che viene dalle singole persone diventando una lezione per la politica.

A mio giudizio, infatti, di fronte al dramma di interi popoli c’è prima di tutto bisogno che gli Stati del mondo, a partire dai Paesi europei, se ne facciano carico a livello politico. Dopo di che c’è bisogno che anche ognuno di noi se ne faccia carico, per quanto e può. È importante creare una diffusa cultura del rispetto della dignità della persona umana e dell’accoglienza, senza ipocrise, con uno spirito, che almeno per i cristiani, deve partire da quelle motivazioni profonde a cui accennava il cardinale Betori. Su questo di strada ne dobbiamo ancora fare proprio noi credenti che come suol dirsi predichiamo bene e spesso razzoliamo male.

Tornando all’appello del Papa, sarà anche necessario evitare lo spontaneismo, perché sulle ali dell’entusiasmo non si faccia più confusione che altro. Sarà pertanto doveroso che le varie iniziative siano coordinate a livello diocesano e poi a livello nazionale in accordo con con le autorità statali e le amministrazioni locali, in modo che tutto avvenga nel rispetto delle leggi e delle normative.

Andrea Fagioli