Suicidio assistito: la Corte costituzionale come Ponzio Pilato
Il Popolo della Famiglia protesta contro il rinvio della decisione della Corte costituzionale al settembre 2019 sul caso Cappato: «Siamo pronti alla mobilitazione di piazza per difendere la cultura della vita sul nostro territorio, perché il business del suicidio assistito non deve trovare spazio nel tessuto giuridico italiano». Il presidente nazionale del Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi, ha dichiarato: «Come Ponzio Pilato, la Consulta sul caso Marco Cappato ha deciso di non decidere. La Corte costituzionale ha chiesto al Parlamento di intervenire sul suicidio assistitio, rinviando la decisione sul caso del Dj Fabo al settembre 2019. Il comunicato della Consulta nota che “l’attuale assetto normativo concernente il fine vita lascia prive di adeguata tutela determinate situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione e da bilanciare con altri beni costituzionalmente rilevanti”». Per questa ragione, i giudici costituzionali hanno deciso di rinviare la trattazione della questione al 24 settembre 2019. Impensabile che per quella data il Parlamento vari una legge favorevole al suicidio assistito. I giudici costituzionali hanno solo pavidamente dato un calcio alla palla facendola rotolare in tribuna. Davvero sembra incredibile che di fronte a una domanda semplice («è incostituzionale l’articolo 580 del codice penale?») non si sia proceduto con l’ovvia sentenza di rigetto dell’istanza. Ora il presidio, evidentemente, diventa politico. Gli attuali equilibri parlamentari rendono a occhio improponibile la nascita di una maggioranza favorevole al suicidio assistito cioè, lo ricordiamo, ad un meccanismo alla svizzera che consente di fare business sulla pelle dei disperati. Tra undici mesi la Corte Costituzionale si ritroverà davanti allo stesso tipo di quesito e non potrà dire che c’è un «vuoto normativo». La norma c’è e dice che è vietato aiutare le persone ad ammazzarsi, perché la vita umana è un bene non disponibile. Principio giuridico sacrosanto che il Popolo della Famiglia difenderà in politica e, se necessario, nelle piazze».
Sul caso Marco Cappato, l’esponente radicale autodenunciatosi per l’aiuto al suicidio assistito, la Corte costituzionale ha preso una decisione senza precedenti: ha chiesto all’Italia di emanare entro un anno una legge in materia per colmare l’attuale vuoto legislativo. Di fatto ha sospeso il giudizio. Ma più che entrare nelle questioni tecniche, ci interessa qui tornare a ragionare sulla questione di fondo, anche perché, come ha detto il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza episcopale italiana, in ogni caso «nessuna legge umana è perfetta, solo la legge divina lo è».
Detto questo, è molto interessante quello che Giuseppe Anzani ha scritto in un editoriale di «Avvenire», spogliandosi a un certo punto dalle vesti del giurista per ricordare che in Italia si contano circa 4 mila suicidi, ma che «le spinte di morte non vengono da sofferenza fisica, se non assai di rado (sei per cento); per il resto, ognuno sa che esistono dolori dell’anima e disperazioni non meno cocenti, legate a depressioni, sventure, rovesci, talvolta a rimorsi o sensi di rovina e vergogna». L’editorialista ricorda anche che uno dei luoghi dove i suicidi ci angosciano di più è il carcere dove se ne conta uno alla settimana. Per cui se si cancellasse la norma che punisce l’aiuto al suicidio (cioè il comando di legge che vale per tutti) trovereste giusto «che qualcuno – domanda provocatoriamente Anzani – regga lo sgabello e aiuti chi annoda all’inferriata il laccio che stringe la gola?» Ma non solo: se si teorizza la libertà e il «diritto di morire» come e quando si desidera, «vi sentireste – domanda ancora Anzani – di aprire la finestra a un disperato che vuole liberamente gettarsi di sotto?. Si dirà che non a questo si intendeva arrivare a Milano in Corte d’assise, e certo neanche a Marco Cappato starebbe bene una soluzione così aberrante. L’obiettivo, neanche tanto nascosto ma ostentato, è l’eutanasia».
Resta da capire, quando si potrà leggere il testo dell’ordinanza, quali spiragli suggerisce la Corte per una revisione dell’attuale «assetto normativo concernente il fine vita». «Frattanto, c’è una parola che manca totalmente, nell’aula giuridica e nel dibattito sociale, al di là del diritto confuso; è la parola “cura”. La cura – conclude Anzani – è ciò che dà vita alla vita quando il dolore del corpo e dell’anima l’affatica e la prostra. La cura non è “il trattamento”, il farmaco, il presidio; la cura è lo sguardo della prossimità solidale che ci mantiene umani, in luogo della soluzione letale. L’abbandono è invece l’ombra che ha già spento la vita, prima della pozione di morte». Più chiaro di così!
Andrea Fagioli