Stipendi e ruolo dei cappellani militari

Sempre più spesso capita di leggere inchieste giornalistiche sugli sprechi di denaro pubblico. Lo scorso 9 novembre «La Repubblica» dedica una di queste alle Forze Armate italiane, che  sembrano non toccate affatto dalla revisione di spesa del governo Monti. I dati riportati sono veramente scandalosi e muovono allo sconforto e all’indignazione.

La nostra attenzione è stata attirata soprattutto dal paragrafo dedicato ai cappellani militari. Essi sono inquadrati come ufficiali e costano allo Stato, cioè a noi contribuenti, 10 milioni di euro all’anno e 7 milioni di euro per 160 pensioni ogni anno. Lo stesso Angelo Bagnasco, presidente della Cei, è un baby pensionato dell’esercito, essendo stato ordinario militare dal 2003 al 2006, e l’attuale Cappellano ha chiesto al Papa la dispensa per poter restare ancora un anno in modo da  maturare la pensione! Ci è venuta subito in mente ben altra figura di sacerdote che nel 1965 scrisse una lettera ai cappellani militari toscani e ai giudici che lo dovevano processare per apologia del reato di obiezione di coscienza. Parlare di don Lorenzo Milani può aiutare ancora a porci qualche domanda, anche se i temi affrontati nel suo scritto erano diversi.

È davvero necessaria la presenza in pianta stabile di sacerdoti nell’esercito, e soprattutto il loro inquadramento nei ruoli più elevati, quasi a rappresentare la loro adesione ad un’ideologia di guerra e di violenza? Vogliamo pensare che si tratti prevalentemente di assistenza spirituale, ma perché questa non viene fatta con ruoli e stipendi più adeguati, rappresentativi di una chiesa ultima tra gli ultimi, invece che potente tra i potenti? Non sono anche questi i veri e profondi motivi di scandalo che allontanano, non tanto le persone dalla chiesa ma la chiesa da quelle persone che cercano in essa un messaggio e una testimonianza di amore e di rinnovamento? La chiesa popolo di Dio è adulta, ma ha ancora bisogno di vedere nei suoi sacerdoti compagni di viaggio credibili, testimoni gioiosi della buona novella.

Lucia ManzanCaterina SantiCarissime Lucia e Caterina, ho letto anch’io l’inchiesta di «Repubblica», interessante e ben illustrata, ma è pur sempre l’inchiesta di un giornale troppo spesso a tesi. Lo ammetto, non ho molta simpatia per «Repubblica», soprattutto per come tratta le questioni attinenti alla Chiesa. Per cui mi resta difficile immaginare che possa ad esempio interpretare il pensiero del Papa sul prolungamento dell’incarico all’attuale ordinario militare. Ciò non toglie, e lo dico con altrettanta franchezza, che gli stipendi dei cappellani militari e il loro essere equiparati agli alti gradi, non mi sembrano opportuni, anche in confronto alla congrua degli altri preti, ma soprattutto, come dite voi, in rapporto ad una testimonianza di povertà. Però, a mio giudizio, il cappellano resta fondamentale perché nel mondo militare sia portato l’annuncio del Vangelo e al tempo stesso la sua presenza sia di sostegno spirituale, ma anche psicologico, soprattutto dei tanti giovani che popolano quell’ambiente che, è bene ricordarlo, non è più caratterizzato da «un’ideologia di guerra e di violenza»: basterebbe pensare alle missioni di pace o agli interventi di protezione civile, non ultimi quelli compiuti qui in Toscana nelle zone alluvionate.

Andrea Fagioli