Siamo tutti un po’ «ideologici»
Ogni nostra presa di posizione, anche nell’«analisi dei fatti e nelle proposte concrete», è, in senso largo, frutto della nostra «ideologia»; e spesso chi accusa gli altri di guardare i fatti attraverso un filtro ideologico è il primo ad avere una visione ideologica della realtà (ovviamente di matrice diversa). Questo è molto evidente nell’articolo, da cui traspare la difficoltà a distinguere l’ideologia in senso stretto, e negativo, di «ingabbiamento» delle idee in uno schema rigido (con l’inevitabile difficoltà a capire quelle diverse), dai necessari pensieri e principi con cui ognuno valuta la realtà.
L’affermazione che sostituire le culture da esportazione con quelle per alimentare direttamente la popolazione locale non farà mai superare il livello di sussistenza è, ad esempio, un assunto ideologico, con tanti presupposti aprioristici: che il vero progresso dell’uomo è legato al benessere materiale e non alla limitazione dei bisogni e alla libertà di fronte alle cose; che è più saggio far girare mezzo mondo a ciò che può essere prodotto localmente; che il grande Mercato, con i suoi limiti, è l’unico che può portare il benessere a tutti, ecc.
Allo stesso modo è ideologico sostenere la falsità dell’affermazione che il nostro sviluppo non è esportabile. A parte che traspare in modo chiaro una certa ignoranza sulle varie risorse necessaria al nostro stile di vita e sulle devastazioni ambientali, sociali e culturali ad esso collegate (e chi parla è spesso ideologicamente accusato di disfattismo) è dato per scontato che sia bene esportare in tutto il mondo un modo di vivere artificiale, basato su una tecnologia che è tecnica ridotta a ideologia e su una scienza che è una visione ideologica nella realtà con pretesa di assolutezza.