Siamo o non siamo in guerra contro lo Stato islamico?
Siamo o non siamo in guerra? Personalmente e per il semplice motivo che ogni attacco viene rivendicato dall’Isis a me pare di sì. E dunque siamo in guerra con l’Isis. Anche il Santo Padre ha detto «Siamo in guerra» e ora mi pare di sentirlo dire anche dal presidente dell’Austria e finalmente anche dal presidente francese. E allora se siamo in guerra comportiamoci come tale. È perfettamente inutile infatti comportarci come suggerisce con rara, ma gratuita spavalderia, il nostro Primo ministro che invita la popolazione a continuare imperterrita ad andare al ristorante, a ballare la sera in discoteca e come se nulla fosse accaduto, a viaggiare usando treni e aerei . Questo lo si potrebbe fare se la polizia fosse vigile ed efficiente cosa che invece, come si è visto a Nizza, non era e ce ne ha messo del tempo prima di capire che si trattava di un attentatore e non di un camion di surgelati! Bel colpo per i nemici giurati dell’Europa cristiana. Basta fare qualche attentato mortale ed ecco che i premier si precipitano a prescrivere ricette di spavalda allegria. È come se durante la guerra ci avessero ordinato di «Non oscurare le finestre» per non mostrare al nemico di avere paura. «Abitudini da non cambiare» dicono mentre quella sera a Nizza, alla festa della Bastiglia, solo chi era rimasto a casa si è salvato. Peccato che i premier non vadano soli alle cerimonie, ma con la scorta, loro.
Posso comprendere, caro Masini, la sua amarezza, che è anche quella di tutti noi in queste settimane in cui si susseguono in modo impressionante avvenimenti tragici. Ci sentiamo costernati, addolorati, preoccupati. Attenzione, però, a farci prendere dalla paura, a modificare le nostre abitudini e a fare, di fatto, il gioco dei terroristi. Non credo, per questo, che quella dei politici sia spavalderia. È solo un tentativo di reagire. Anche se sono d’accordo con lei che devono fare di più, molto di più. La politica francese, ad esempio, ha mostrato una preoccupante debolezza. Non è possibile, infatti, che un Paese sotto tiro come la Francia si faccia trovare ogni volta impreparato. Non ha saputo gestire l’ordine pubblico nemmeno durante gli Europei di calcio, figuriamoci come avrebbe potuto evitare le stragi del Bataclan o di Nizza dopo aver subito l’attacco a Charlie Hebdo con l’incapacità persino di organizzare un inseguimento degno di questo nome e la cattura dei due terroristi. Come si ricorderà, furono individuati dopo tre giorni grazie alla telefonata del dipendente della stamperia dove si erano nascosti. Anche il Belgio, dal punto di vista della sicurezza, ha mostrato preoccupanti lacune. Una debolezza quella dei singoli Paesi che è anche il riflesso della debolezza di un’Europa che perde pezzi e che non sa trovare politiche comuni nemmeno sul fronte dell’immigrazione.
Andrea Fagioli