Respingere guerra e violenza e lavorare insieme per la pace
Non si può che essere con gli ebrei, come siamo con gli ucraini, almeno fino a quando saranno attaccati e quando la loro reazione non travalicherà i limiti della difesa e della proporzionalità o si opponessero a ogni ragionevole tentativo di pace.
Guardando le immagini televisive, diffuse dalle due parti, viene amaramente da constatare quanto odio è stato accumulato negli anni tra israeliani degli insediamenti e palestinesi della striscia di Gaza. E’ stato da irresponsabili aver messo provocatoriamente gli uni accanto agli altri: i giovani israeliani con abitudini e tenore di vita occidentale, i palestinesi chiusi nei loro enclave a covare odio, soprattutto nelle nuove generazioni, cresciute in un clima di segregazione e di mobilitazione militare. Clamorosa incoscienza è stato poi organizzare addirittura un rave musicale nel deserto del Negev a poca distanza dal confine della striscia di Gaza, dove altri giovani vivono una situazione di segregazione e di risentimento, ma accade spesso quando turisti vanno in vacanza nei paesi esotici, non rendendosi conto di quanta miseria c’è oltre le mura dei villaggi turistici.
Noi occidentali intendiamo la nostra libertà in modo assoluto e mal tolleriamo che ci vengano posti limiti, anche di opportunità, non rendendosi conto quanto le nostre ostentazioni possano provocare risentimento, invidia, al punto quasi da apparire una provocazione, per chi non ha niente, sia in termini di beni materiali e di prospettive di vita.
Questo non giustifica in alcun modo la violenza, gli omicidi e la presa di ostaggi, ma come giudicare le responsabilità di quei governanti che innalzano muri, promuovono il fondamentalismo religioso, finanziano nuovi insediamenti in zone a maggioranza araba che sottraggono terreno fertile, risorse idriche e creano discontinuità territoriale. In Israele si pensa che la pace con i palestinesi potrà essere possibile solo con un governo conservatore e autoritario, fortemente identitario e poco incline alle concessioni, ma quando mai fosse raggiunto un accordo, sicuramente con la mediazione dei grandi paesi arabi, vista l’impraticabilità del progetto di due stati separati, come sarà possibile creare uno stato integrato con tutto l’odio alimentato in questi anni?
Daniele Gabbrielli
Vorrei rispondere al nostro amico e attento lettore Daniele partendo dalla sua domanda finale. Un quesito che da quasi un secolo ha assillato tanti, governanti di destra e di sinistra, dei grandi Paesi Occidentali e della Russia, della Cina o dei Paesi arabi. Nessuno, come ricostruisce bene Marcello Mancini alle pagine 4 e 5 di questo numero del nostro settimanale, è ma riuscito a dare una risposta definitiva. Ci sono state tante tregue e altrettante guerre, un numero non definibile di morti da una parte e dall’altra, ma il problema non è mai stato risolto alla radice e certo, dopo quanto successo il 7 ottobre, oggi appare davvero irrisolvibile. I due stati separati nello stesso territorio, o comunque confinanti, non si possono neppure ipotizzare fino a quando l’odio avrà la precedenza su tutto.
E qui riparto dalle prime parole del nostro lettore, parole che condivido in pieno. «Non si può che stare con Israele come non era possibile non appoggiare le ragioni dell’Ucraina aggredita ormai quasi due anni fa dalla Russia di Putin. Tutti i ragionamenti di Daniele, che seguono le prime parole della sua lettera, sono altrettanto condivisibili ma in questi giorni troppi si sono affrettati a usare tanti «se» e tanti «ma». E questo non mi piace. Nessuno dimentica le violenze da parte di Israele o quel muro che anche i pellegrini devono attraversare per completare il loro viaggio in Terra Santa almeno una volta o due e quei mitra imbracciati dai soldati spesso stati usati per fermare i palestinesi che vorrebbero solo andare a lavorare. E impossibile da giustificare sono pure le bandiere con la stella di David sui tetti delle case nei quartieri arabi, segno di conquista. Tutto giusto ma non basta per dire che la violenza messa in atto dai militanti di Hamas quel sabato mattina, è la conseguenza delle privazioni o della povertà. Sbagliato certamente organizzare un rave party vicino al confine ma quali colpe hanno quei giovani rincorsi, picchiati, sequestrati o uccisi sul posto se non quella di volersi divertire? L’ipotesi avanzata dal nostro abbonato che tutto è conseguenza della povertà e delle privazioni a cui sono stati costretti i palestinesi, offesi e umiliati, regge solo se qualcuno si azzarda a giustificare la violenza come risposta a un atto di forza. L’adagio «se vuoi la pace prepara la guerra» secondo noi non regge e non può reggere. Sarebbe giusto ma solo se tutti i governanti fossero prima di tutto donne e uomini che davvero vogliono il bene dei propri cittadini e più in generale di tutto il genere umano. Secondo noi se veramente si vuole la pace bisogna lavorare per questa senza se e senza ma, senza giustificare neppure lontanamente atti di violenza o aggressioni di donne e uomini, di vecchi e bambini, o gli atti di terrorismo. E ora il rischio di un allargamento del conflitto si fa veramente alto e allora non resta che lavorare per la pace, dal più piccolo di noi a chi governa un piccolo o un grande stato.