Quelle imprecisioni nell’informazione religiosa

Quando certi giornalisti, anche radiotelevisivi scrivono o comunque riferiscono «cose» inerenti la Chiesa cattolica, osservo che commettono svarioni piuttosto pesanti. Al di là delle loro libere opinioni, ma proprio su specifici fatti o comunque su argomenti di carattere specificamente più tecnico pubblicati, dimostrano tali giornalisti di non essere a pieno dentro l’argomento che trattano utilizzando lo specifico linguaggio che poi è anche sostanza e danno ad intendere ai telespettatori o lettori che siano, fischi per fiaschi. Una riprova a quanto scrivo si può trovare su «La Nazione» dello scorso 11 luglio nel servizio da Roma a pagina 8 e titolato «La Chiesa è una certezza, un miliardo di donazioni», in merito alle scelte di affidamento dell’otto per mille a favore della Chiesa cattolica; vi si afferma che «l’80% delle scelte, per oltre un miliardo, è stato destinato al Vaticano». Evidentemente l’ineffabile giornalista non sa o non vuol sapere che quanto ricavato dalle scelte fiscali dell’otto per mille non va al Vaticano, ma alla Conferenza episcopale italiana(Cei) che è organo giuridicamente distinto dalla Santa Sede, e quindi dal Vaticano. Perché le testate giornalistiche e televisive non fanno in modo che i loro dipendenti della tv o carta stampata che scrivono su argomenti ecclesiali frequentino corsi di formazione per trattare la «materia» in modo competente e talvolta anche meno arrogante e «saputo»?

B.C.

Non si può negare che ci sia una certa approssimazione nell’affrontare i temi legati alla Chiesa. Senza ovviamente generalizzare, perché ci sono anche tanti giornalisti laici molto preparati in materia. Alcuni, come è successo di recente qui in Toscana per un corso promosso dall’Ucsi (l’Unione cattolica della stampa italiana), hanno anche l’umiltà di voler apprendere com’è organizzata la Chiesa e qual è il suo linguaggio.

In molti casi, però, quello che scrive il nostro lettore è vero e l’esempio che riporta è eloquente. Proprio in quel corso a cui accennavo, mi è capitato di ricordare lo stupore anche di molti giornalisti quando Papa Francesco, appena eletto, insisteva nel definirsi vescovo di Roma.

Capire che il Papa è Papa in quanto vescovo di Roma e non viceversa, che la Cattedrale del Papa è San Giovanni in Laterano e non San Pietro, che Roma è la sua diocesi e che per questo ha un vescovo ausiliare, serve appunto a capire quel continuo riferimento all’essere vescovo di Roma e addirittura a parlare del suo predecessore come vescovo emerito Benedetto e non tanto come Papa emerito. In altri settori certe cose sono scontate, nell’ambito dell’informazione religiosa no. Eppure non sapere di San Giovanni in Laterano è come confondere Palazzo Chigi con Montecitorio.

Andrea Fagioli