Quando per l’informazione gli uomini non sono tutti uguali
Gent.mo direttore, una domanda ingenua (ed alla quale ho, chiaramente, una risposta), se mi permette, ingenua per un ultra cinquantenne come sono io, ma che vorrei chiederle, se le è possibile, oltre alla sua stimata opinione, di far girare tra i quotidiani, i settimanali, le testate giornalistiche tv. Parto da due episodi dei giorni scorsi, apparentemente diversi, sostanzialmente uguali. A Camaiore un uomo armato di ascia insegue e tenta di colpire la ex. A Milano un ghanese armato di piccone colpisce i passanti per la strada. Questo è quanto hanno detto le testate tv ed i quotidiani che ho letto. Sottolineo la differenza di lettura di due episodi uguali, che ormai da mesi, anni, sempre si ripete in tutte le notizie che vengono date dai media. Un uomo, un ghanese. Ma non sono la stessa cosa? Ecco la mia risposta: sì.
Ma per voi, per i giornalisti (mi scusi se per un attimo solo la accomuno anche se la ritengo profondamente diverso), la differenza è importante. Perché se l’autore di un reato è italiano non va sottolineato (a meno che non sia di certe regioni), se è straniero va marcato e ribadito ogni passo dell’articolo. O, forse, per gli autori degli articoli chi non è italiano non è un uomo. Anzi, forse sarebbe meglio dire chi non ha determinate caratteristiche. Perché pensandoci bene parlano di uomo anche se è francese, tedesco, inglese…. La nazionalità viene precisata quando si parla di altre popolazioni (non uso il termine in voga perché quell’extra a me piace poco anche riferito agli alieni, esistessero). Allora lo fate apposta! Serve ad un preciso scopo, a indurre l’odio, l’inimicizia… il rifiuto. «Quante strade deve percorrere un uomo. / Prima che lo si possa chiamare uomo?… / La risposta, amico, sta soffiando nel vento / La risposta sta soffiando nel vento». Altri quaranta e più anni sono passati invano. E certe cose ce le ha dette già, duemila anni fa, Lui, prima di Bob…
Carissimo Ghiloni, la ringrazio per la lettera e anche, se vogliamo, per la sua positiva «provocazione». Le dò ragione, ma solo in parte. Cerco di spiegarmi premettendo che per me un uomo è un uomo al di là del colore della pelle o della provenienza. Quindi non ammetto che si usi il colore della pelle o la provenienza in senso negativo, come purtroppo a volte accade. L’ammetto se diventa un’informazione, purché non sia secondaria e possa dare adito solo a reazioni negative. Nel caso di un furto credo abbia poco senso dire la nazionalità del ladro. Nel caso del triplice folle omicidio di Milano credo al contrario abbia un senso dare l’ulteriore notizia (purché non usata in malafede) sulla provenienza dell’omicida, magari dicendo «un uomo ghanese» e non soltanto «un ghanese». È questione di completezza dell’informazione di fronte a un fatto di gravità inaudita soprattutto per i luoghi e le modalità con cui è avvenuto. In un caso come questo, a mio giudizio, la notizia della provenienza vale la pena anche per un italiano (bergamasco o salernitano che potesse essere), anche perché gli stessi italiani (donne comprese) negli ultimi giorni non sono stati certo da meno, salendo alla peggiore delle cronache per aver sparato ai figli o addirittura per averli gettati dalla finestra. Per non parlare delle violenze, spesso mortali, da parte di uomini italiani contro le proprie mogli o le proprie fidanzate.
Andrea Fagioli