Processo Andreotti, la «caccia» continua

Caro Direttore,non ci credo e rimango con le mie idee. Il processo condannatorio di Andreotti è cascato nelle nostre mani non come una patata bollente e scottante, ma come una pappa riscaldata. Lo scopo è sempre il solito, antico come le montagne. Ormai ci siamo abituati. Quando abbiamo bisogno di ottenere un miracolo facciamo preghiere a S. Antonio. Ma quando non ne abbiamo bisogno siamo capaci di spedire al santo di Padova diversi epiteti bestemmiatori. Quando c’è stato bisogno dei cristiani perché facessero «da scudo» al comunismo li abbiamo cercati e siamo divenuti, in grande maggioranza, loro amici e sostenitori.

Quando non c’era più bisogno dello «scudo» li abbiamo buttati tutti fra le immondizie, motivati dalla debolezza di qualcuno. Già ci provarono negli anni ’60 con Emilio Colombo e lui sfidò l’accusatore a venir in tv a presentare le sue accuse, ma questi non si fece mai vedere e tacque per sempre. Ci hanno provato anche con quel brav’uomo di Vittorino Colombo durante Tangentopoli, ma poi dovettero dichiararlo innocente. Gli accusatori non si sono sentiti colpevoli di averlo tanto gravemente debilitato moralmente da morire poco dopo? Un giorno ci provarono anche con Amintore Fanfani, ma siccome lui era «un cavallo di razza» e per di più «toscano», scalpitò a tamburo battente lasciando gli accusatori a bocca aperta ma senza né fiato né voce. E nessuno si è più riprovato. Con Andreotti gli accusatori sono di una tenacia che ha del diabolico. C’è una sentenza assolutoria e una seconda condannatoria. Aspetteremo anche la terza.

Andreotti è «un osso duro» a morire perché è l’emblema simbolo di una classe politica che, se ha avuto un torto, è quello di avere accettato il potere come servizio alla casa comune nazionale senza chiedere nulla in cambio. Di gente di quel calibro oggi si avverte la mancanza. È successo la stessa storia anche con Giorgio La Pira. Quando era vivo è stato maltrattato dalla mattina alla sera. Dopo che è morto viene spesso ricordato sulle pagine dei giornali e presentato come uomo politico di altissimo valore e di profondo spessore profetico. In Italia, a quanto pare, si è religiosamente guelfi e politicamente ghibellini.Il fatto che per 50 anni la politica sia stata gestita da cristiani è «un rospo» che non si riesce a digerire. Ecco perché si fanno o si tentano certe operazioni chirurgiche.Non è difficile nemmeno individuare chi ha in mano il bisturi. Circolano per il paese forze occulte, più o meno incappucciate, che manovrano e organizzano di notte ciò che altri per delega portano allo scoperto come novità del giorno. Per camuffarsi assumono nomi sempre diversi e sempre nuovi, ma la radice è una e viene da lontano. Ci scommetto la testa.don Averardo DiniFirenze

Lo abbiamo già scritto (Toscanaoggi, n. 42), ma conviene ripeterlo. Di fronte all’accanimento della magistratura – che dura ormai da un decennio – contro uno dei più importanti statisti della Repubblica, emerge il dignitoso atteggiamento di Giulio Andreotti, che ha seguito come uno scolaretto tutte le udienze, ha stretto pubblicamente la mano ai suoi accusatori e, pur ribadendo la sua verità, ha sempre mostrato fiducia nella giustizia italiana. Anche quando, come è accaduto pochi giorni fa, si è visto piovere addosso una sentenza paradossale che, basandosi sulle parole di seconda mano di un «collaboratore di giustizia», lo ha giudicato colpevole di aver ordinato un omicidio, rimasto però senza esecutori materiali. Per quello che è dato di sapere dall’esterno, dai due processi non è emersa alcuna prova vera di reati commessi dal senatore Andreotti nell’esercizio delle sue funzioni. Il che ovviamente non toglie che su certe azioni politiche e su certe scelte di Andreotti, negli anni in cui ha avuto grandi responsabilità per il Paese, si possa discutere e talvolta anche dissentire.