Prato, il lavoro e l’immigrazione attraverso le visite di due Papi
Scrivo in merito alla giornata in ricordo della visita di Giovanni Paolo II nella Prato che lavorava e produceva tanto perché essa da sempre era la «Capitale del tessile».
Dopo essere arrivato in città allo Stadio del Bisenzio, il Papa si recò in Piazza del Comune dove pronunciò il suo primo discorso che fu un saluto alla città per la calorosa accoglienza ricordando che Diocesi e Comune sono cresciute insieme seppure formatesi in tempi e secoli diversi ma avevano sempre collaborato insieme e dovevano continuare su questa strada per il bene del popolo pratese, successivamente si recò in uno stanzone del Macrolotto Uno per incontrare i rappresentanti dei lavoratori e anche coloro che avevano perso il lavoro e li prese spunti dalla sua enciclica «Laborem Exercens» pubblicata nel 1981 a novant’anni dalla «Rerum Novarum» di Leone XIII (Papa dal 1878 al 1903) che fu il Primo Papa a parlare di problemi legati al lavoro.
Dopo si recò in Piazza del Duomo dove parlò dal Pulpito del Donatello ai vari studenti presenti in Piazza ricordando di confidare in Gesù e nella Madonna visto che è custodita la famosa Sacra Cintola in cui effettuò lui stesso l’ostensione dicendo: «Oggi è una giornata di sole ma questo sole che è presente non dovete tenerlo solo per voi ma donarlo a chi non lo ha o a chi vive nelle tenebre».
Dopo l’ostensione fece una breve sosta alla Villa del Palco e poi si recò alla volta di Piazza San Domenico dove incontrò e salutò i malati accompagnati dalle associazioni di volontariato cattoliche e civili in cui non potendosi intrattenere più di tanto con i malati perché il tempo era breve disse: «Il segreto per trasformare il dolore in gioia è quello di volgere lo sguardo al crocifisso perché dopo il tempo del dolore arriva Cristo a redimere ciascuno da ogni colpa e peccato perché trionfi la sua Gloria». Il momento conclusivo della visita fu la Santa Messa celebrata in Piazza Mercatale.
Lo stesso papa emerito Benedetto XVI all’Angelus domenicale del 1 marzo 2009 espresse il suo pensiero e la sua vicinanza spirituale per tutte quelle città che stavano attraversando questo momento di crisi fra cui Prato perché il giorno prima c’era stata la manifestazione di solidarietà in Piazza Mercatale con uno striscione lungo tutta la piazza che diceva: «Prato non deve chiudere». Martedì 10 novembre scorso è venuto a visitare la nostra città seppure soltanto un’ora Papa Francesco, che dal Pulpito del Donatello ha iniziato il suo discorso in maniera cordiale dicendo: «Fratelli e sorelle carissime buongiorno».
Poi ha toccato tempi non solo legati all’evangelizzazione ma anche al lavoro ricordando la morte degli operai cinesi della Teresa Moda avvenuta il 1 dicembre 2013 affinché certi episodi non si verifichino più. Ha concluso il suo discorso ricordando di confidare nella protezione della Madonna per la storia millenaria del Sacro Cingolo che rappresenta l’essere uniti in Cristo come quando Gesù lavò i piedi ai discepoli prima di fare la sua ultima cena dopo averli amati fino alla fine.
La ringrazio, caro Giraldi, per questo suo contributo al ricordo della visita di Giovanni Paolo II trent’anni fa, il 19 marzo 1986, a Prato. Evento ricordato il 19 marzo scorso con una inizitiva pubblica in Palazzo vescovile (trasmessa in diretta televisiva da TvPrato) a conclusione della quale è stato anche presentato il volume fotografico sulla recente visita di Papa Francesco. Una visita breve, per ammissione dello stessa Pontefice («Sono venuto come pellegrino, un pellegrino… di passaggio!»), ma di grande intensità, segnata da un discorso bello ed efficace. Giovanni Paolo II trascorse a Prato un’intera giornata. Francesco si è fermato poco più di un’ora prima di volare in elicottero a Firenze per il Convegno ecclesiale nazionale. In pochi minuti, però, è riuscito a sintetizzare importanti concetti ricorrendo all’immagine delle «tende di speranza», ai «patti di prossimità» e al «lavoro degno». Per dire di essere aperti a chi è ferito dalla vita, di essere accoglienti nei confronti degli immigrati anche in situazioni di difficile convivenza e a favorire il rispetto e la sacralità di ogni essere umano anche attraverso l’attività lavorativa.
Andrea Fagioli