Perché quella critica a Kiko Arguello?
Caro direttore, a pagina 10 del penultimo numero, rispondendo a una lettera, lei si esprime così: «Male ha fatto Kiko Arguello (…) tentando di mettere lo zucchetto del papa in contrapposizione alla Cei, ecc.». Quindi male ha fatto Kiko a esprimere una considerazione personale, parlando liberamente su possibili diversità di valutazione nella Chisa su come agire contro l’ideologia gender. Ricordo poi che «Avvenire» del 21 giugno ha definito Kiko presuntuoso e pretestuoso accusandolo di seminare zizzania nella Chiesa. Vorrei chiederle allora come interpretare correttamente le parole di papa Francesco su un adeguato atteggiamento di sinodalità nella Chiesa, secondo lei valgono solo per i padri sinodali o andrebbero estese anche alla capacità di accogliere posizioni diverse nel dialogo intraecclesiale.
Papa Francesco ha sintetizzato i due atteggiamenti per la riuscita del Sinodo, parlare con «parresia» e ascoltare con umiltà, dopo aver chiesto attenzione per la voce delle chiese locali e di portare questa voce all’interno del Sinodo.
«Parlare con parresia e ascoltare con umiltà – ha concluso – vi chiedo questi atteggiamenti», e di viverli con pace «perché il Sinodo si svolge sempre “cum Petro e sub Petro” e la presenza del Papa è garanzia per tutti, collaboriamo perché si affermi con chiarezza la dinamica della sinodalità». Sperando vivamente in una sua risposta chiarificatrice.
Alessandro Pacini
Caro Pacini, le rispondo più che volentieri, ma non so cosa dovrei chiarire. Confermo che a mio giudizio Kiko Arguello ha fatto male a tentare di mettere non solo un cappello bensì uno zucchetto bianco su una manifestazione che una volta tanto era promossa da laici, teoricamente senza etichette. Kiko Arguello invece ce le ha volute mettere e ha voluto tirarci dentro il Papa in contrapposizione ai vescovi italiani o quantomeno ad alcuni di loro.
Le confesso che questo tirare Francesco da tutte le parti non mi piace per niente. Per di più tutti si stanno erigendo ad esegeti di un Papa che non ha certo bisogno di interpreti. Siamo arrivati al punto che persino un laico di lunga tradizione come Eugenio Scalfari si senta autorizzato a spiegare chi è Bergoglio e come si devono interpretare le sue parole e i suo gesti. Papa Francesco, ripeto, non ha bisogno di traduttori. Per cui, caro Pacini, non mi chieda di interpretare le parole del Papa perché, tra le tante presunzioni, questa almeno non ce l’ho. Aggiungo solo che tutto questo non c’entra niente con la netta opposizione all’ideologia gender sulla quale siamo tutti d’accordo. Almeno spero.
Andrea Fagioli