Pacifisti o operatori di pace?

Caro Direttore,come cattolico mi rammarico difronte alla circostanza che, partecipando a questa o quell’iniziativa pacifista, anche animata da nobili sentimenti, ma troppo intrisa di valenze di politica interna, fatte per dividere e non per unire, si sia rischiato di perder di vista la portata del messaggio dell’unico, vero, leale, apostolo di pace in tutte le latitudini: il Papa.

Il messaggio del Santo Padre, anche quando non ascoltato in questa o quella contingenza, nasce sempre da esigenze di rispetto della persona umana; il Papa non è contro qualcuno, ma per qualcosa, il suo verbo non è quello del pacifista di maniera quando la minaccia di focolai bellici proviene dal comportamento di taluni, mentre tace di fronte ad analoghi comportamenti posti in essere da altri; il messaggio del Papa non è ideologico, e quindi non può essere strumentalmente ricondotto a logiche di schieramento.

Ho rispetto della pluralità di posizioni che si sono manifestate anche nell’ambito del laicato cattolico, difronte all’ipotesi del conflitto in Iraq, ma credo che non serva agitare bandiere usate strumentalmente da quanti finiscono con lo snaturarne i contenuti; l’ormai celeberrima bandiera arcobaleno non mi ha convinto, perché ha assunto una valenza impropria, sposandosi con un pacifismo di schieramento, che è per me cosa diversa dal comportamento del costruttore di pace autentico.

Personalmente ritengo che, avendo per grazia di Dio la guida spirituale del Pontefice, che dovrebbe ispirare ugualmente tutti i cattolici, indipendentemente dalle loro opzioni politiche, meglio sarebbe stato sottolineare con forza la valenza del suo messaggio di pace, magari convenendo in massa in piazza San Pietro a ringraziarlo per la nobiltà con cui anche in questo frangente si è posto; il suo anelito di pace è credibile perché coerente, credo invece molto meno alla pace marciata, perché questa mi sembra recare un vizio di fondo: più che per qualcosa, sembra essere contro qualcuno.Daniele BagnaiFirenze Anch’io, come lei, preferisco il termine «operatore di pace» a quello di «pacifista», perché mi sembra sottolinei meglio la necessaria dimensione dell’impegno personale, che per un cristiano è fondamentale. Però mi sento di difendere anche chi – con disprezzo – viene tacciato di «pacifismo», quasi fosse uno dei peggiori mali dell’uomo. Il «Grande Dizionario della lingua italiana» del Battaglia (vol. XII, Torino 1984) – testo autorevolissimo e che non può certo essere accusato di partigianeria politica – definisce il «pacifismo» come «dottrina, o anche soltanto insieme di idee, che condanna la guerra come mezzo idoneo a risolvere le controversie internazionali e considera la pace permanente o perpetua fra gli Stati come fine possibile e desiderabile dell’attività politica», in questo, aggiunge, «si contrappone sia al bellicismo, che esalta la guerra come fattore di progresso morale, sociale, tecnico, sia all’imperialismo, che intende raggiungere la pace con la conquista e la soggezione, politica o economica, dei più deboli». Lo stesso Dizionario precisa che la «connotazione spregiativa, come dettato da vigliaccheria» viene usata nel «linguaggio polemico dai fautori della guerra o della politica di potenza».Si può certamente essere critici verso un «pacifismo» di maniera, o «a senso unico», ma bisogna stare attenti a non farsi confondere le idee dalla martellante propaganda dei «bellicisti» che hanno tentato anche di screditare gli interventi del Papa, tacciandoli di pacifismo unilaterale. In realtà, nel nostro secolo, i papi, a partire da Benedetto XV, hanno sempre condannato il ricorso alla guerra e Giovanni XXIII, all’indomani della crisi di Cuba, ha posto una pietra miliare nell’insegnamento della Chiesa definendo nella «Pacem in terris» «irragionevole» (ma il termine latino è ancora più forte: «alienum est a ratione») il pensare «che la guerra nell’età atomica possa essere utilizzata come strumento di giustizia».

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