Non c’è Dio nell’ospedale di «Braccialetti rossi»

Caro direttore, come vedi io le lettere le scrivo e non perché, nell’ultimo numero di Toscana Oggi hai evidenziato – non senza pena – la loro sparizione; ma direi piuttosto che, secondo la – ahimé – «vecchia» maniera, quando non comunico verbalmente, non conosco altro modo che farlo davvero se non con un foglio e una matita. E a ben ragione se si tratta di cose serie.

Ecco: nella fiction (ormai bisogna dire così) «Braccialetti rossi» – prima e seconda serie – manca del tutto il Signore. Sono certa che specialmente dove il dolore, fisico e morale, è così evidente e forte come in un ospedale, Lui è presente più che altrove. Ma nella suddetta trasmissione, osannata da tutti – e in certi casi a ragione dal punto di vista umano e per la sapiente regia – lui non c’è: neppure un accenno così, sia pure per caso. Tanto che al funerale del loro amico – parlo della prima serie – si vede per pochi attimi e di sfuggita, l’interno di una chiesa dove quei ragazzi entrano di corsa cantando una loro canzone sguaiata quanto inappropriata. La seconda serie ha un tono meno qualificato, secondo la mia opinione: più banale e ripetitivo, come ripetitivo è il grande Assente.

E poi chissà perché quei ragazzi così bravi hanno balbettato appena qualche parola a «Porta a Porta», visibilmente impacciati? Anche Vespa ha accusato il colpo, per così dire. E ce ne vuole! Da imputare alla notorietà della trasmissione condotta dal giornalista o davvero il regista ha compiuto miracoli? Mah.

Mariella Cambi

Innanzitutto grazie, cara Mariella, anche per la lettera scritta a mano in bella calligrafia (un’altra rarità). E poi grazie per la sottileneatura su una delle «fiction» (dobbiamo chiamarla proprio così, all’inglese non si sfugge più) di maggior successo, persino tra i giovanissimi che, come sai, non guardano più di tanto la cosiddetta tv generalista.

È vero, in «Braccialetti rossi» Dio non c’è. Ed è un peccato. In primo luogo perché non corrisponde alla realtà. Infatti, nei luoghi di sofferenza come gli ospedali si fa presente anche materialmente attraverso i cappellani, i volontari e una buona parte del personale medico e paramedico. In secondo luogo perché «Braccialetti rossi» è una «fiction» che ha dei valori e quando ci sono i valori Dio ci sta smepre bene.«Braccialetti rossi» è anche una favola e come tale va presa. Non a caso inizia con il tradizionale «C’era una volta un mondo e dentro il mondo un mare… una costa… un ospedale diverso da tutti gli altri.

C’era una volta e c’è ancora…». Effettivamente nessun ospedale è forse costruito in mezzo agli ulivi secolari, con vista mare e stanze colorate dove ci si può muovere come a casa. Ma la favola è favola anche per la sua morale, che in questo caso è un inno alla vita attraverso il valore dell’amicizia e della solidarietà, con dentro tutti i temi che interessano gli adolescenti (l’amore, la scuola, le incomprensioni, il rapporto con i genitori…). È anche educazione alla malattia, al fatto che prima o poi tutti dobbiamo fare i conti con la sofferenza. Alla fine manca solo Dio. È proprio vero, confermo.

Per il resto, i ragazzi che interpretano «Braccialetti rossi» sono appunto ragazzi. Solo qualcuno di loro ha delle esperienze come attore. Si può quindi capire che non si muovano completamente a loro agio in una trasmissione come «Porta a porta».

In quanto al regista, Giacomo Campiotti, non c’è dubbio che abbia fatto cose eccezionali. Non parlerei però di «miracoli» visto che lui e gli sceneggiatori si sono «dimenticati» di Dio.

Andrea Fagioli