Niente «Giornata» e poca attenzione alla famiglia

Caro direttore, devo segnalare che purtroppo nella mia parrocchia anche quest’anno non si è fatto nessun accenno alla Giornata delle comunicazioni sociali. Eppure questa volta l’occasione sarebbe stata buona per parlare di famiglia in un momento in cui la famiglia sta subendo tanti attacchi. Penso al divorzio breve, ma non solo. Non capisco perché non si è approfittato del messaggio del Papa per ricordare il ruolo della famiglia. Io credo che nelle nostre parrocchie non si parli abbastanza di famiglia e a volte non si abbia nemmeno tanta attenzione per le poche famiglie che ancora vanno alla Messa.

Massimiliano Carli

Caro Massimiliano, mi spiace che nella tua parrocchia non si sia nemmeno ricordata, domenica 17 maggio, la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali. Purtroppo, mi duole dirlo, ma sei in compagnia di molti altri. Per questo ho tolto dalla tua mail il riferimento esplicito alla tua parrocchia e alla tua diocesi. Non serve, proprio perché ho notizia che la stessa cosa sia accaduta in molte altre parrocchie e diocesi, segno evidente che non c’è attenzione al problema dei «media» e dei «nuovi media», che invece hanno un ruolo fondamentale nella mentalizzazione delle persone.

Hai anche ragione a dire che quest’anno l’argomento del Messaggio del Papa per la «Giornata» era propizio proprio perché affrontava il tema della famiglia. Distinguerei, però, il discorso dell’attenzione o meno alle famiglie nelle parrocchie dal tema della Giornata delle comunicazioni sociali e quindi del rapporto tra famiglia e «media». In questo secondo caso, che è quello più attinente, direi che i «media» sono o dovrebbero essere lo specchio della società, che dovrebbero riflettere anche la famiglia così com’è nella realtà. A volte lo fanno, a volte no. Che la famiglia sia sempre meno stabile, che diminuiscano i matrimoni e aumentino le separazioni e le convivenze nessuno lo nega. In molti casi, però, i «media» mettono in ombra o addirittura in cattiva luce la famiglia cosiddetta tradizionale (uomo e donna aperti alla vita) a beneficio di altre aggregazioni. L’ultimo esempio ci viene dal tam tam mediatico all’indomani dell’esito del referendum in Irlanda sulle nozze gay. Chiedere una distinzione con il matrimonio tra un uomo e una donna viene considerata roba da preistoria.

Sembra impossibile poter ripristinare, come chiede il Papa, «uno sguardo capace di riconoscere che la famiglia continua ad essere una grande risorsa, e non solo un problema o un’istituzione in crisi». I «media» purtroppo continuano «a presentare la famiglia come se fosse un modello astratto da accettare o rifiutare, invece che una realtà concreta da vivere».

C’è un altro elemento fondamentale, anche questo legato spesso a una cattiva immagine dei «media», quello dei figli, per i quali si registra il vero declino. La percentuale della generazione di donne degli anni Sessanta rimaste senza prole è pari al 14%. La percentuale raddoppierà per le donne del 1990. Per la prima volta nella storia dell’umanità, la famiglia in quanto istituzione non tende necessariamente ai figli, non ha più nel suo orizzonte i figli come obiettivo e completamento. La coppia di oggi è fine a se stessa. Meno di 40 famiglie su 100 sono formate da coppie con figli.

Il minimo delle nascite si registra nelle regioni come la nostra che offrono più servizi. Sembra una contraddizione. Invece è quello che alcuni studiosi chiamano «ipertrofia dei figli», ovvero un figlio dà l’idea di richiedere talmente tante cure e attenzioni da inglobare tutta la prospettiva della coppia in sé. Fare un figlio è diventato un’impresa. Essere genitori è diventato un mestiere. Addirittura è diventata la maternità a scoraggiare la maternità. Nel senso che è la venuta al mondo di un figlio a scoraggiare quella di altri figli. La maternità è uscita dalla sfera di quello che è naturale. La maternità è entrata in una sfera connotata come eccezionale.

Come vedi, caro Massimiliano, altro che «Giornate»: ci vorrebbero «annate» per rimediare ai messaggi distorti sulla famiglia e sulla procreazione che arrivano dai «media». Da qualche parte, però, si dovrebbe partire e quindi quella bistrattata e dimenticata Giornata delle comunicazioni sociali avrebbe rappresentato un’opportunità. Così resta solo un’occasione persa.

Andrea Fagioli