Marta, Maria… e la «Bossi-Fini»

Caro Direttore,sono venuto a conoscenza tramite alcuni amici che un sacerdote della mia Diocesi nell’omelia di domenica 18 luglio, nel commentare il brano evangelico della visita del Signore a Marta e Maria ha volutamente richiamato l’attenzione dei fedeli presenti sulla legge «Bossi-Fini» relativa alle norme di regolamentazione dell’immigrazione. Ovviamente per lamentarne i contenuti e l’impostazione generale. Premettendo che anch’io nutro alcune perplessità sull’impianto complessivo della legge, pur appartenendo ad un partito che fa riferimento al centro-destra, non posso non rimanere perplesso sull’accaduto.

Come cristiani impegnati in politica dobbiamo realmente lavorare, nella stesura delle leggi e dei regolamenti, per il rispetto e la valorizzazione della dignità della persona umana sia essa un immigrato dall’Africa, o un nascituro ancora nel grembo materno. I nostri sacerdoti hanno il diritto e, direi il dovere, di educare noi fedeli laici alla cultura dell’accoglienza della vita umana e, quindi, di ricordarlo anche nelle omelie domenicali e l’occasione era la più propizia.

Ma mi chiedo: è giusto che un sacerdote citi volutamente una legge, tra l’altro già oggetto di dibattito e critiche da parte di molte associazioni cattoliche e che ha sollevato grandi discussioni tra gli schieramenti politici? Non bastava ricordare quei principi della Dottrina sociale della Chiesa, lasciando ai fedeli il giusto e doveroso compito di valutarli nell’applicazione di quella legge?

Credo che così non si faccia altro che continuare a creare confusione nei fedeli rischiando di far passare un giusto e doveroso richiamo dei nostri sacerdoti ai principi della Fede cristiana come un comizio elettorale.Lorenzo MartelliniCastelfranco di Sopra (Ar) Il tema che percorre le letture della Messa della XVI Domenica del tempo ordinario è indubbiamente l’accoglienza che apre il cuore a chi bussa alla nostra porta e offre quell’ospitalità che rinfranca e dà sollievo. Abramo, padre dei credenti, è modello perfetto di questa virtù per la premura e la generosità con cui accoglie i tre misteriosi ospiti nei quali riconoscerà Dio e i suoi angeli. Identica è la premura, direi l’affetto, con cui le due sorelle di Betania aprono a Gesù la loro casa. È un’accoglienza che si fa ascolto e che, mentre dona, in uno scambio mirabile riceve: per Abramo è l’annuncio del figlio tanto desiderato, per Maria è la parola di Cristo che illumina e salva.La funzione dell’omelia domenicale non è però solo quella, importante, di spiegare la Parola, ma anche di esortare ad accoglierla «come è veramente Parola di Dio» e a metterla in pratica, domandandosi con serietà come attuarla qui, ora, nella società in cui viviamo, secondo le funzioni e i compiti che ciascuno si trova ad esercitare. In questo caso si tratta di chiedersi chi sono oggi coloro che chiedono e attendono accoglienza. Ed è indubbio che il fenomeno dell’immigrazione è quello che ci interpella di più, perché ci mette a contatto con i bisogni e le sofferenze di tante persone che fuggono dalla miseria e dalla guerra, vittime spesso di uomini senza scrupoli. Un fenomeno che sta assumendo notevoli dimensioni col quale dovremo sempre più misurarsi. In quest’ottica un accenno alle norme che in Italia regolano l’immigrazione poteva essere opportuno, proprio alla luce dei riferimenti che le letture della Messa evidenziano. Certo come «immettere nella massima misura storicamente possibile questi valori negli ordinamenti e negli atti legislativi e amministrativi» non può essere tema di un’omelia: è compito della politica e si misura qui l’impegno di chi fa riferimento all’ispirazione cristiana.Lei, caro Martellini, dice che questa attualizzazione con riferimenti precisi ad una determinata legge «rischia di far passare un giusto e doveroso richiamo dei nostri sacerdoti come un comizio elettorale» con il rischio di dividere ulteriormente la comunità cristiana. È possibile, ma non credo che il rimedio sia il silenzio o un parlare asettico che non scuote nessuno. Serve invece incontrarsi, confrontarsi, anche sui temi più scottanti, alla luce dei principi per noi irrinunciabili e nel rispetto reciproco, nella consapevolezza che «sul piano della concreta militanza politica spesso sono moralmente possibili diverse strategie per realizzare o garantire uno stesso valore sostanziale». In questo, la parrocchia può essere spazio privilegiato, se non si appalta a nessuno e non diventa luogo di propaganda politica o personale.