L’esortazione «Amoris laetitia» e la Comunione ai divorziati

Caro direttore, l’esortazione Amoris laetitia supera le 260 pagine… È molto bella dal punto di vista pastorale, ma la Chiesa «Mater et magistra» (Giovanni XXIII) è madre che accompagna, discerne e integra; e maestra che insegna e con misericordia richiama per non venir meno al mandato di Gesù.

Nel cap. 8 giuste e vere molte analisi, ma ci vedo anche uno stile da dottori del cavillo che cercano di aprire il capello. Belli, se intesi bene, i capitoli 4 e 5. Poi il par. 3: «Non tutte le discussioni dottrinali, morali e pastorali devono essere risolte con interventi del magistero». Ma l’abbiamo ascoltata da poco la Parola degli Atti, con Paolo e Bàrnaba, Giuda e Sila mandati con uno scritto (At 15,1-2.22-29). Fino a Benedetto XVI il magistero ha cercato di chiarire e dirimere le varie problematiche. Altrimenti ora con Papa Bergoglio verrebbe meno un certo modo di agire del magistero. Ancora il par. 3: «Nella Chiesa è necessaria una unità di dottrina e di prassi, ma ciò non impedisce che esistano diversi modi di interpretare alcuni aspetti della dottrina e alcune conseguenze che da essa derivano». E siamo sistemati.

Fatta questa premessa e messo questo principio si può andare ad esempio in una direzione e – al limite – anche in quella opposta; oppure prendere una decisione che è contraria ad un’altra. E si arriva a questo: lui ha ragione, io ho ragione, tutti hanno ragione… e tutto è relativo. La verità non esiste. E può succedere che una Chiesa fa così, e una Chiesa fa cosà… non più «una» Chiesa ma più Chiese.

Accenno al cap. 8 che apre alla possibilità di alcuni casi (o molti?) di persone divorziate e risposate di essere ammesse alla Comunione eucaristica (va detto, anche se nel testo non compare ma si rimanda a due piccole note, 336 e 351, che rimandano alle note della Evangelii gaudium). Dire e non dire mi sembra ambiguo e che nasconda.

Sono perplesso con i par. 298 e 299. Una situazione oggettiva di errore-peccato, dopo un certo tempo non lo è più? Servono anche «criteri», come ha scritto G. Morra, per evitare che il «discernimento» diventi «arbitrio», e la «casistica» (caso per caso) diventi «casinistica». Diceva Pascal nel 1657 «Con la loro casistica compiacente e accomodante i gesuiti (Papa Francesco è un gesuita) si aprono al mondo nella speranza di ricondurre alla Chiesa i devianti».

Riporto anche le parole di Papa Francesco (omelia in santa Marta, 28 febbraio ’14): «I farisei si presentano a Gesù con il problema del divorzio. Il loro stile è sempre lo stesso: “la casistica”. È lecito questo o no?. Sempre il piccolo caso. E questa è la trappola: dietro la casistica, dietro il pensiero casistico, sempre c’è una trappola. Sempre!…». Così Papa Francesco sembra essere in contraddizione tra l’omelia e alcune cose (il caso per caso) del cap. 8.

C’è da aggiungere che con la Comunione alle persone divorziate e risposate vengono «toccati» (ed è molto grave) i sacramenti della Eucarestia, della Confessione (Riconciliazione) e del matrimonio. E come su una macchina (o su una nave) si accendono gli allarmi. Sintetizzo così. Giovanni Paolo II, il Papa della Divina Misericordia e della famiglia e Benedetto XVI a mio parere non condividono alcune cose della Amoris laetitia. E noi stiamo rischiando qualcosa di simile alla nave Concordia. Preghiamo la Madre della Chiesa che non avvenga mai.

Giovanni ManecchiaGhezzano-Pisa

Caro Manecchia, pubblico la sua lettere, ma non volentieri, contrariamente a quanto si usa dire in questi casi. Le confesso che fare le bucce al Papa è uno sport che non mi appassiona per niente. Accusare, sia pure indirettamente, Francesco di relativismo, mi sembra davvero grossa. La verità esiste, eccome: «Io sono la Via, la Verità e la Vita». Mi consideri pure un cristiano immaturo, ma io sto con il Papa a prescindere. È lui il successore di Pietro, non altri. È su di lui che Cristo poggia ancora la Chiesa come un tempo la fondò sul capo degli apostoli. Se poi fosse un antipapa il discorso sarebbe diverso. Ma non mi sembra proprio che questo sia il caso nostro.

Venendo a un punto specifico della sua lettera, ribadisco, come sottolinea lei, che nell’Amoris laetitia non si nomina mai esplicitamente il tema dell’accesso alla Comunione per i divorziati risposati, ma si rimanda a una nota nella quale, a proposito dell’«aiuto della Chiesa», si fa presente che «in certi casi, ci potrebbe essere anche l’aiuto dei sacramenti». L’invito ai pastori è dunque al «discernimento pratico» caso per caso: «Un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà».«Oggi, più importante di una pastorale dei fallimenti è lo sforzo pastorale per consolidare i matrimoni e così prevenire le rotture». Ne è convinto il Papa, che nell’ultima sezione dell’ottavo capitolo del testo spiega in questi termini la «logica della misericordia pastorale».

Bisogna anche dire che questo testo è la sintesi di due sinodi. Per cui alcune affermazioni, come la seguente, sono attribuite alla collegialità dei vescovi: «I Padri sinodali – scrive il Papa – hanno affermato che la Chiesa non manca di valorizzare gli elementi costruttivi in quelle situazioni che non corrispondono ancora o non più al suo insegnamento sul matrimonio». Ma «nessuno può essere condannato per sempre, perché questa non è la logica del Vangelo!».

Riguardo al modo di trattare le diverse situazioni dette «irregolari», i Padri sinodali hanno raggiunto un consenso generale: «In ordine ad un approccio pastorale verso le persone che hanno contratto matrimonio civile, che sono divorziati e risposati, o che semplicemente convivono, compete alla Chiesa rivelare loro la divina pedagogia della grazia nella loro vita e aiutarle a raggiungere la pienezza del piano di Dio in loro», sempre possibile con la forza dello Spirito Santo.

Insomma, che si rischi il naufragio non credo proprio. Per cui mi rivolgerei alla Madre della Chiesa per scongiurare ben altre derive.

Andrea Fagioli