Le critiche dei vescovi alla politica economica
E così anche il Segretario generale della Cei, Nunzio Galantino, si è unito al coro crescente, contro la politica economica del Governo, di quanti dicono «Basta con gli slogan, occorrono fatti». Dichiarazioni che finiscono per identificarsi anch’esse in slogan, seppur accompagnate da richieste di «ridisegnare l’agenda politica» dando priorità alla famiglia e alle politiche fiscali di sostegno, guardare con più realismo alle persone che non hanno lavoro e che invano lo cercano, intervenire su scuola e formazione, in sostanza dare voce alle domande drammatiche della gente. Ma al di là di queste indicazioni e di auspicati processi di riforma, in un Paese da tempo sfiduciato, scoraggiato, vincolato finanziariamente da rigide normative europee, non si sa ancora come agire per far ripartire i consumi e gli investimenti.
Il presidente del Consiglio dei Ministri, Matteo Renzi, forte anche del recente e vasto consenso elettorale ricevuto dal partito – il Pd – da lui guidato, sta tentando di affrontare le gravi conseguenze della crisi economica, proponendo nuovi ideali, nuove mete sui diritti, sui doveri dei privati, per essere coinvolti in un «disegno grande» nel quale credere. L’obiettivo è far uscire l’Italia dall’immobilismo che ha bloccato finora le riforme di sistema, far emergere in chiave partecipativa le risorse morali e vitali di cui dispone il Paese (arte, cultura, creatività, bellezza, voglia di lavorare, solidarietà) per riprendere la strada della crescita e dello sviluppo. In questo sforzo risultano sicuramente di sprone pressioni e disamine, ma occorre anche «da chi è a contatto ogni giorno con la gente» avanzare indirizzi utili, costruttivi, concreti in grado di aiutare chi ha responsabilità di governo a produrre valori aggiunti di equità sociale e di benessere per tutti.
Non metto in dubbio il tentativo di Matteo Renzi di «far uscire l’Italia dall’immobilismo». Così come non metto in dubbio le difficoltà che si è trovato di fronte, compreso un Parlamento popolato da onorevoli che troppe volte non fanno certo onore al loro titolo. Però, almeno sul fronte del lavoro, che a mio giudizio è la nostra prima urgenza, la situazione resta drammatica. Si sentono tanti discorsi, dibattiti infiniti sull’articolo 18, ma non si vedono segnali d’inversione della tendenza. La disoccupazione resta altissima, soprattutto quella giovanile. È ovvio che il presidente del Consiglio non ha la bacchetta magica e che questo Governo paga le difficoltà internazionali e anche gli errori nostrani del passato. Ma proprio per questo, se vogliamo ridare un po’ di fiducia al Paese, è necessario avere qualche parola in meno e qualche fatto concreto in più. Questo mi sembra chiedesse monsignor Galantino interpretando, io credo, il pensiero di diversi altri vescovi: «Guardare con più realismo alle persone che non hanno lavoro e che cercano lavoro» (leggi qui). Per il resto rimando a quello che scrive Romanello Cantini in uno degli editoriali di questa settimana che, oltre a spiegare cosa significhi e quali conseguenze abbia l’attuale precariato, dice in conclusione a cosa dovrebbe rispondere il cosiddetto «Jobs act», ovvero il piano per il lavoro, per intenderci.
Andrea Fagioli