Caro direttore, le scrivo in merito al congresso degli atei e agnostici svoltosi recentemente a Firenze. Più che a dei credenti come è naturale che siano i lettori del suo giornale mi piacerebbe rivolgermi direttamente agli atei. Guardo con molto interesse, in generale, al percorso che porta un uomo alla «conversione» atea con il definitivo abbandono di ogni sfondo trascendente nella propria vita e nella storia. È un percorso rispettabile, probabilmente sofferto, le cui tappe hanno forse qualcosa di utile da insegnare ai credenti.Tuttavia i temi e il tono riportati dalla stampa su questo congresso mi spingono alla seguente riflessione. Il primo traguardo di ogni ateismo razionale dovrebbe essere, penso, la grande prudenza a trattare i fatti dell’uomo nel suo complesso: e ciò proprio in conseguenza del totale vuoto e assenza di ogni principio informatore tranne la propria razionalità. Essendo limitata e finita, essa può comprendere molto, ma non tutto. L’ateo si può spingere a razionalizzare la realtà ma, ove questa operazione non funzioni, egli dovrebbe prudentemente tacere. Mi sembra invece che talvolta l’atteggiamento sia l’opposto: tendere ad affermare in maniera polemica e aprioristica certe posizioni «laiche», gettando fango o pesanti giudizi su tutto ciò che altri, i credenti, sentono di proporre. È vero, forse, che «il sonno della ragione genera mostri» ma credo anche che la presunzione della ragione generi intolleranza.Giovanni CasiniFirenzeIl pensare che solo la ragione porti alla verità e che tutto ciò che non è razionalmente o scientificamente dimostrabile sia da relegare nella sfera del mito o della superstizione è pregiudizio antico, che nel tempo ha generato intolleranza verso le verità cristiane e spesso è sfociato in persecuzioni. La Rivoluzione francese, figlia di questo postulato illuminista, lo evidenzia chiaramente: proprio per «liberare» l’uomo dalla superstizione religiosa, in nome della Dea Ragione si chiusero le chiese, si soppressero i conventi e si fece lavorare a pieno ritmo la ghigliottina. Questa «presunzione della ragione», caro Casini, è atteggiamento ritornante che può assumere, vari aspetti: oggi prende spesso il volto di un laicismo estremo. In fondo lo stesso convegno degli atei e degli agnostici, al di là degli aspetti provocatori, ha al fondo l’idea che fede e ragione siano inconciliabili e quindi destinate necessariamente a scontrarsi. È importante quindi come credenti aver chiaro questo rapporto in un’armonia che del resto il Magistero della Chiesa delinea molto bene.«Il lume della ragione» è un dono » che «Dio ha deposto nello spirito umano» proprio perché possa accedere alla conoscenza. E «la Chiesa sostiene e insegna che Dio stesso, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza col lume naturale della ragione umana, partendo dalle cose create» e che «l’uomo ha questa capacità perché è creato a immagine di Dio» (Catechismo Chiesa cattolica, § 36). La ragione ha quindi un valore e un’importanza che non possono essere disprezzate né minimizzate. Ma neppure assolutizzate perché la ragione non spiega tutto perché ha dei limiti. L’uomo stesso, su cui le scienze umane tanto ci dicono, resta pur sempre un mistero che solo la fede illumina in pienezza, «rivelando l’uomo all’uomo» come afferma il Concilio. Per questo il CCC al n. 38 afferma che «l’uomo ha bisogno di essere illuminato dalla Rivelazione di Dio non solamente su ciò che supera la sua comprensione, ma anche sulle verità religiose e morali che, di per sé, non sono inaccessibili alla ragione, affinché nella presente condizione del genere umano possano essere conosciute da tutti senza difficoltà, con ferma certezza e senza mescolanza d’errore».