L’Arcivescovo e l’intervista

Caro Direttore,sono passate ormai due settimane dall’intervista all’Unità di mons. Alessandro Plotti, arcivescovo di Pisa, presidente della Cet e vicepresidente della Cei. A questo punto è chiaro che non ne farete menzione e non so spiegarmi il perché. Il personaggio è autorevole, soprattutto per voi di Toscanaoggi, e mi meraviglia assai che non gli abbiate dato il risalto che merita. Una ripresa dell’intervista sui settimanali diocesani avrebbe supplito alla non eccelsa diffusione dell’Unità presso certi ambienti, nonostante lo zelo dello stesso prelato.

A prescindere dall’interesse specifico, ciascuno ne avrebbe tratto giovamento, considerata l’ampiezza enciclopedica degli argomenti trattati. Nell’ordine: la scuola, la bagarre politica, la famiglia (al singolare?), le pensioni, il bipartitismo, lo Stato sociale, Bush, l’Iraq, le pasticche, l’estetica, il lifting, le chiome, il ritocchino di Berlusconi. Con l’angoscioso dilemma, anzi trilemma finale: «vittima o prodotto? O produttore?».

Si potrebbe far notare che uno dei pochi argomenti nemmeno accennati è Gesù Cristo, ma il pignolo di turno potrebbe essere facilmente rimbeccato con le parole dell’omesso: «non chi dice Signore, Signore…».

Chi vuole cercare il pelo nell’uovo potrebbe eccepire su quell’Eminenza con cui viene gratificato l’Arcivescovo, ma l’eccesso di deferenza non è peccato e un augurio può essere anche di tipo freudiano. Fa il paio con la gaffe di mons. Plotti sul bipartitismo, ma c’è da perdonarlo. Egli confonde la realtà con i sogni prodiani o berlusconiani, ansiosi di superare così il bipolarismo esistente (se è permesso un parere personale: è troppo anche quello). Ma, come diceva Totò, sono quisquilie, bazzecole, pinzillacchere che non meritavano l’omissione.Roberto Corsi – Scandicci (Fi)robecorsi@tin.it E’ lecito dissentire dalle opinioni espresse da un Arcivescovo in un’intervista? Certamente sì, soprattutto quando i temi affrontati sono in ambito socio-politico. C’è però una condizione previa, valida sempre e con tutti, senza la quale il dibattito delle idee, utile e necessario, scade in polemica fine a se stessa: è la correttezza che consiste nel documentarsi bene, nel dar conto con esattezza del pensiero altrui, nell’evitare di estrapolare qualche passaggio che può falsare il pensiero.Mons. Alessandro Plotti, nell’intervista all’«Unità» del febbraio scorso, affronta vari temi: scuola, chiarendo bene il ruolo di quella paritaria, famiglia, sì al singolare, pensioni e stato sociale (auspicando il dialogo e la concertazione), il nostro bipolarismo imperfetto, la politica, che si nutre di slogan e di immagini. Le opinioni espresse sono in larga misura condivisibili e comunque in un dissenso serio e rispettoso si contrappongono altre opinioni, ritenute più valide. Questa lettere invece si risolve in un giudizio che finisce per investire le persone ed è un giudizio tagliente, condito con un’ironia che scomoda perfino Freud a proposito… dell’uso inesatto del titolo con cui l’intervistatore si rivolge all’Arcivescovo!Ed è proprio su questo modo di porsi, su questa ironia che forse anche al di là delle intenzioni può diventare sarcasmo che è giusto dire una parola chiara.Questo atteggiamento, mai positivo, è particolarmente grave quando un cattolico lo manifesta nei confronti di un vescovo che merita sempre rispetto per quello che è, per quel che fa e soprattutto per quello che, alla luce della fede, nella Chiesa rappresenta, anche perché spesso per il Vangelo porta pesi enormi. Non è male ricordarselo nella polemica politica. Il vescovo per noi è molto di più di un uomo vestito di rosso.Per quanto attiene poi al settimanale, non ci interessano le interviste fatte da altri quando ci è più facile andare direttamente alla fonte.