La scelta di Benedetto /1

Ci rimane l’esempio di coraggio e umiltàCaro direttore, Benedetto XVI continua a portare con sé anche la croce di aver dovuto lasciare per amore e per il bene della Chiesa. Ci mancheranno le sue parola che rimangono e fanno luce. Rimane il suo esempio di coraggio e umiltà grandi! Anche per questo preghiamo per lui e lo amiamo ancora di più. Giovanni ManecchiaGhezzano (Pisa) Assoluta e perenne solo la Parola di DioCredo che esistesse una comune convinzione nel considerare assoluta e perenne la figura e la missione del Papa, prima della storica rinuncia di Benedetto XVI dal soglio pontificio «per il bene della Chiesa». Il Papa con una decisione presa in libertà, coscienza e responsabilità, si ritira dal suo ministero – interpretato e testimoniato con profondo senso di servizio –  ritenendo di non avere più la forza necessaria per guidare «la barca di Pietro», la Chiesa, nel mare aperto della storia attuale, per affrontare le attese e le sfide del mondo.L’umiltà, il coraggio e, credo, la sofferenza di accettare e manifestare i propri limiti di uomo, pare contrastare con la funzione assoluta attribuita al suo mandato, e ripropone una nuova concezione sulla persona del Pontefice che pur resta la guida spirituale primaria e suprema del popolo di Dio. Assoluta e perenne c’è solo – per i credenti – la parola di Dio rivelata e accolta e vivificata dalla Chiesa tutta con fede, speranza e carità. Arrigo CanzaniSesto Fiorentino (Fi) Un atto libero e liberanteIl gesto è di quelli bruschi, che lasciano senza fiato ed aprono al futuro: il futuro di Dio. Altro che abdicazione, rinuncia, disimpegno. La potenza spirituale, umana, intellettuale e persino «politica» (nell’accezione più nobile della parola) del gesto di Benedetto decimo sesto, è segno di alto e profondo vigore. Un autorevole atto di governo ispirato all’umiltà ma indubbiamente potente e, al contempo, disarmante.

Il gesto di un padre che toglie al proprio futuro per donare una nuova «vita» alla «sua» Chiesa. Benedetto chiama alla responsabilità «il mondo» e lo fa con un atto «gandhiano» volto non a vincere quanto a convincere; a condividere una prepotente urgenza quella di riportare al centro di tutto Dio. L’uomo nato dal Concilio sfida le coscienze con un dono di dialogo destinato a segnare la storia e la vita di ognuno. Il Papa della «Verità» ha vinto! Ha vinto come persona, assumendosi tutta la libertà di una decisione sconvolgente, e come pastore offrendo, ad ognuno, una via di liberazione nella Verità. Dio è oggi più che mai «Libertas in Veritate»! Il «grande passo» del Santo Padre è l’ennesimo «Sì» ad un prossimo che è, come per ogni Papa, il mondo intero. Un gesto antistorico rivolto ad una modernità orientata, per troppi aspetti essenziali, al crepuscolo. Di fronte a tanta serena gratuità non resta che rendere grazie.

Daniele MarchettiFirenze Non è sceso ma è salito sulla croceBenedetto XVI non «è sceso dalla Croce», come superficialmente, ha detto qualcuno, ma vi è salito, esponendosi, come Gesù a commenti, sputi e accuse di vigliaccheria da parte di tanti commentatori d’accatto. Purtroppo per lui continuerà a restarvi crocifisso ancora a lungo. Ora, come cattolici, dovremo riflettere e pensare che qualcosa deve cambiare. Perché, nella Chiesa, ci sarà bisogno di aria nuova. Andrea IardellaLivorno Un gesto che va accettato e compresoBenedetto XVI ha constatato di non essere più all’altezza del compito impegnativo che la Chiesa gli aveva affidato e ha assunto i comportamenti conseguenti. La sua è stata una decisione di grande impatto emotivo, destinata a suscitare reazioni contrastanti. Il confronto con l’esperienza di Papa Wojtyla è inevitabile: Wojtyla ha scelto di mostrare al mondo il dolore e la sofferenza fisica, di viverla fino in fondo, uomo tra gli uomini. Ratzinger ha scelto di mostrare al mondo la sua umana impotenza e di farsene carico. Benedetto XVI merita rispetto Il suo gesto prima di essere giudicato, va accettato e compreso. Mario PulimantiLido di Ostia –Roma È stato lasciato solo da un mondo senza fedeDa quando monsignor Joseph Ratzinger ha bevuto il suo amaro calice, tutto il mondo sgomita per far sapere che loro sapevano e/o intuivano la tragedia di questo essere umano. Chiamo «tragedia» questo evento perché non è il fallimento di un sacerdote, né di un cardinale, né di un pontefice ma è la «tragedia» di un uomo. Si blatera su Celestino V e non si chiarisce l’opera di Bonifacio VIII. Ma bisogna tuffarsi nella «Storia dei Papi» e avere il coraggio di capire e valutare come sia enormemente pesante e coinvolgente essere al timone della barca di Dio. Da cardinale, Ratzinger, ha preso una posizione ferrea nel dirci che bisognava spazzare via il sudiciume dalle nostre Chiese e che la barca della Chiesa faceva acqua da tutte le parti e che stava per affondare: ed era la «Verità».Quante tragedie stanno dentro quella che io chiamo «La Storia dei Papi». Ancora una volta voglio dire: «Santità, l’umanità l’ha lasciata sola in questo mondo che sta rifiutando Dio perché servire ed essere di Colui che è l’Innominabile, l’Inconcepibile e l’Indimostrabile è meravigliosamente impossibile ma, Santità, al mondo ci sarà sempre una persona che pregherà per Lei. Amen». Ennio BorghiniFirenze La favola dei presunti intrighiDurante una trasmissione televisiva il giornalista Gianluigi Nuzzi, mostrando un «buon cuore» che francamente stento ad attribuirgli, ha parlato di eventuali lacrime, da parte di Benedetto XVI, per gli affronti di cui è stato continuamente oggetto. Sono davvero commosso dalla «pietas» del suddetto Nuzzi il quale, in un passato recente, non ha mostrato alcun riguardo nei confronti del Papa pubblicando documenti riservati, ma non compromettenti, ottenuti in un modo a tutti noto. Pertanto il «tenero» Nuzzi risparmi al Papa e a noi il «pietismo» di cui ha fatto sfoggio in quel programma. E come ha dichiarato il fratello del Papa i presunti intrighi «Vaticani» sono favole sapientemente «fabbricate» e generosamente spacciate come verità storica dai soliti noti per finalità tutte da verificare. Fabio Mendlerindirizzo email

Riusciamo a dare spazio, questa settimana, solo ad alcune delle lettere arrivate dopo l’annuncio da parte del Papa di lasciare il pontificato. Vedremo se continuare, in base alle esigenze del momento, la pubblicazione anche nei prossimi numeri. Intanto, ringrazio coloro che hanno scritto, mi scuso con chi non vedrà, per ragioni di spazio, pubblicata la propria lettera, ma già queste prime danno bene l’idea anche delle altre, nel senso che la maggioranza esprimono apprezzamento per la sofferta decisione di Ratzinger, mentre una parte se la prende con il plauso del mondo laico oppure con le ipotesi di complotto, o quanto meno di forti contrasti all’interno della Curia romana, ipotizzate di recente. Per quanto mi riguarda, ribadisco quanto scritto a caldo nel numero scorso, anche se, con il passare dei giorni, quella scelta ci impone ulteriori riflessioni, anzi: io credo che proprio adesso, passati clamori ed emozione, i credenti sono chiamati a meditare su cosa realmente significa la rinuncia di Benedetto, quali scenari apre nella storia del ministero petrino, ma soprattutto cosa indica alla Chiesa, a partire dal suo successore.

Forse Benedetto XVI, con quel gesto, che ci ha veramente sorpreso (e pensare che dopo la sua elezione titolammo la prima pagina di quell’aprile 2005: «Il Papa che ci sorprenderà»!) ci vuole spingere a bandire le divisioni, a concepire ogni incarico e ogni ruolo come servizio e mai come potere. Ci vuole spingere ad una maggiore aderenza al Vangelo, a Cristo, a quel Dio che si è fatto uomo e ha scommesso sugli uomini. Dice bene Giuseppe Savagnone in uno degli editoriali di questa settimana: «Dopo il pontificato di Benedetto XVI, non è solo il papato, è tutta la Chiesa che è chiamata a riscoprire fino in fondo questa sua dimensione di umanità. Oggi coloro che la rifiutano spesso non lo fanno perché essa è poco divina, ma perché è poco umana. E dove latita questa seconda caratteristica, diventa irriconoscibile anche la prima».

Andrea Fagioli