La miseria e la serenità

Quando il frastuono del mondo moderno me lo permette, mondo pieno di arroganza, oscenità, menzogne, furbetti, ladri, approfittatori, disonesti, illegali, mi fermo a pensare al mio passato. Allora giungo con il mio pensiero alla seconda guerra mondiale, alle miserie della buona e brava gente, già succube di un sistema dittatoriale nefasto ed incivile che aveva portato il nostro Paese alla miseria più assoluta ed alla sua devastazione. La gerarchia fascista dominava su tutto ed i più deboli dovevano maggiormente soccombere alle ristrettezze familiari quotidiane.

Il sistema di vita nelle campagne era primitivo e così nelle attività agricole con sistemi e strumenti primitivi dove i contadini e le loro famiglie, con diversi figli a carico, dovevano lavorare da «schiavi» per onorare il decoro e l’onestà della loro famiglia. Non esistevano spacciatori di droga, ladri con i colletti bianchi, furbetti di quartiere, le cricche politiche, ma il vivere onesto. I ragazzi andavano a scuola a piedi con gli zoccoli nelle frazioni più vicine e poi aiutavano la famiglia nei campi; niente ricreazioni se non due calci in una palla fatta di carta. Niente separazioni coniugali con figli alla deriva, ma responsabilità coniugale e familiare.

Le madri amavano con viva fede cristiana la famiglia tutta e si obbligavano alla loro educazione morale e religiosa senza tralasciare le faccende di casa ed il lavoro nei campi. Esisteva una totale armonia familiare di cui il capo famiglia era il «patriarca» più considerato e rispettato ed i nonni con la loro veneranda esperienza l’icona della famiglia. Oltre lo stretto legame familiare, l’affettuosa solidarietà permetteva un vivere tranquillo e sereno pure nella miseria ma con rispetto delle leggi, anche se talvolta ingiuste, di quel tempo. I legami con i vicini erano solidali e la comunità contadina soprattutto era di esempio al vivere comune perché é proprio nel bisogno reciproco che si riscontrano ed emergono i valori del cristianesimo.

Ben volentieri, grazie a Dio, ho vissuto l’evolversi tecnico e scientifico del nostro progresso ed il risanamento delle atroci ferite della guerra che aveva devastato la nostra Italia, aveva portato dolore e milioni di lutti nelle nostre famiglie. Tutte queste fasi, dalla ricostruzione dei ponti sul fiume Pescia, alle macerie del centro del paese, alla riparazione del tetto della nostra chiesa parrocchiale, le conservo come un «tesoro» nella mia mente, e pure il crescere continuo della nostra economia, delle nostre campagne con mezzi e sistemi moderni, l’istruzione per tutti e non solo per i privilegiati, l’emancipazione della donna, la possibilità di essere meno diversi dagli atri, come prima. Sì, osanno tutte queste conquiste, però le stesse purtroppo non sono state ben considerate e accettate per migliorare il vivere comune e sociale ma sono e vengono indirizzate ed acquisite principalmente per fini egoistici e asociali in una società che avrebbe più bisogno, soprattutto in questo momento di crisi acuta, di solidarietà e compartecipazione ai bisogni dei più deboli; altrimenti, anche se più progrediti, cosa vale il progresso? Siamo ritornati all’epoca della seconda mondiale ed in più senza serenità e tranquillità miliare e sociale.

Remo BenedettiPonte Buggianese

Grazie, caro Benedetti, per questa lettera che, seppure un po’ lunga, pubblichiamo volentieri. Le posso anche dire che condivido sostanzialmente le sue considerazioni con un’unica avvertenza: attenzione non trasformarle in rimpianto per il passato, a non pensare che si stava meglio quando si stava peggio, anche perché, soprattutto come cristiani, siamo chiamati a vivere e operare nel presente nel tentativo, per dirla con gli scout, di lasciare questo mondo un po’ meglio di come l’abbiamo trovato, ovviamente nel nostro piccolo.

Mi è molto piaciuta un’affermazione di Papa Francesco che ripropongo a lei e ai nostri lettori. Il tema non è proprio lo stesso, ma mi sembra ugualmente illuminante anche per il nostro ragionamento: «C’è la tentazione – dice Francesco – di cercare Dio nel passato o nei futuribili. Dio è certamente nel passato, perché è nelle impronte che ha lasciato. Ed è anche nel futuro come promessa. Ma il Dio “concreto”, diciamo cosi, è oggi. Per questo le lamentele mai mai ci aiutano a trovare Dio. Le lamentele su come va il mondo “barbaro” finiscono a volte per far nascere dentro la Chiesa desideri di ordine inteso come pura conservazione, difesa. No: Dio va incontrato nell’oggi».

Andrea Fagioli