Iraq, ecco perché dobbiamo rimanere
Dunque, dovrebbe essere chiaro a tutti ciò che l’Iraq rappresenta veramente: la partita tra il terrorismo e l’Islam moderato, partita che segnerà il futuro del medioriente e che, per questo, il terrorismo non vuole perdere, come ha ampiamente dimostrato attaccando il quartier generale dell’Onu in Iraq in agosto, uccidendo i capi religiosi favorevoli alle forze alleate, attentando alla Croce Rossa e facendo stragi di civili volte a piegare con la paura il favore che il popolo iracheno nutre verso gli occupanti.
La distinzione che lei fa, caro Cavallini, tra fondamentalismo islamico e Islam moderato è essenziale per capire e per agire. Anzi, a suo parere, l’attuale fase della guerra in Iraq è una tappa per la conquista progressiva da parte del fondamentalismo dei Paesi islamici moderati. L’arma con cui questa lotta si conduce è il terrorismo che colpisce quei paesi che, non solo in Occidente, contrastano questo disegno. L’Iraq quindi come banco di prova. È allora importante chiedersi dopo tanti errori, e orrori, con quali strategie operare e quali soluzioni ricercare per contrastare questo disegno. Serve ritirare subito i contingenti militari? Penso proprio di no. Il problema sarebbe rimosso ma non risolto. E l’Iraq, come ha scritto Romanello Cantini nell’editoriale della scorsa settimana, «rimarrebbe lì con il suo vuoto di potere, con il suo caos presente e con il futuro indecifrabile»; inoltre così si segnerebbe «il trionfo di Al Qaeda» e l’Iraq diventerebbe «il nuovo santuario del terrorismo internazionale, dopo la cacciata dall’Afghanistan». Che fare allora? Riconoscere finalmente che la guerra è stata un errore di cui ora paghiamo le conseguenza e che le armi da sole non sono più in grado di risolvere una situazione tanto complessa e drammatica e che la politica deve prendere il sopravvento. È quindi il tempo di coinvolgere appieno le Istituzioni internazionali, prima fra tutte l’Onu, in funzione di un progetto politico, credibile e possibile, che tenga conto prima di tutto del bene del popolo iracheno e impegni la Comunità internazionale, anche sul piano militare. S’impone ormai una svolta «netta e evidente» che, richiesta da più parti, in questi giorni sembra prendere consistenza. Certo, l’impresa non è facile, ma merita impegno fattivo e piena colaborazione, anche perché, realisticamente, altra soluzione non c’è.