Imu, ora protestano anche le Case del popolo
C’è grande agitazione e preoccupazione da parte degli enti no profit che a seguito della normativa del governo sull’Imu ricevono cartelle esattoriali anche per decine di migliaia di euro. Da dicembre devono sborsare, tra gli altri, centri di recupero, case di accoglienza per senza fissa dimora o ragazze madri, scuole paritarie, mense per i poveri, ecc. A Firenze i rappresentanti di 280 associazioni di sinistra come i circoli Arci, Mutuo soccorso e Case del popolo hanno manifestato davanti alla Prefettura consegnando simbolicamente le chiavi delle loro strutture al Prefetto. Adesso chi ha fatto partire le sanzioni europee e ha chiesto la modifica dell’Imu solo per colpire le opere sociali e assistenziali della Chiesa si renderà conto di quello che ha provocato. Monti propose la modifica delle esenzioni Imu, facendo la distinzione tra «attività commerciale lucrativa» e «attività commmerciale» per finalità sociali, ma probabilmente prevalse il timore di essere accusato di voler favorire la Chiesa. Adesso invece ci rimettono i cittadini che in molti casi non potranno più usufruire di servizi che lo Stato non è in grado di garantire.
La manifestazione di sabato 2 febbraio a Firenze è stata molto interessante. Non certo per il numero dei manifestanti (un centinaio) e nemmeno per il gesto simbolico di consegnare al Prefetto, nella sua qualità di rappresentante locale del governo nazionale, le chiavi di 280 realtà associative di sinistra, grandi e piccole, tra Circoli Arci, Società di mutuo soccorso, Case del popolo e associazioni culturali. È stata interessante in quanto evidente ammissione che quella avviata a suo tempo dal mondo cattolico non era una battaglia per difendere i privilegi della Chiesa, bensì la battaglia contro un’ingiustizia.
«Rappresentiamo luoghi aperti, dove le persone si incontrano e costruiscono insieme azioni e relazioni – raccontavano i partecipanti alla manifestazione –. Siamo una rete che organizza ogni giorno centinaia di iniziative e offre tante occasioni di protezione sociale verso i cittadini più deboli. Svolgiamo un ruolo di presidio del territorio, di mediazione dei conflitti sociali, di offerta di ricreazione e cultura: siamo, che si voglia riconoscere o meno, un pezzo fondamentale del sistema del welfare locale».
Dicevano di avere assistito «al dibattito sull’Imu e accettato la nuova disciplina sulla tassazione (e le esenzioni) delle proprietà immobiliari degli enti non profit». Erano «consapevoli e convinti» che anche a loro sarebbe toccato dare un contributo al risanamento delle finanze statali. Però trovavano profondamente ingiusti i criteri con cui si è deciso di calcolare il pagamento dell’Imu per le loro strutture e per quelle similari. In sostanza ritengono che le attività sociali, ricreative e culturali siano state del tutto equiparate a quelle prettamente commerciali.
«Ora hanno capito», titolava «Avvenire», domenica 3 febbraio, in apertura di prima pagina, mentre l’editoriale del direttore Marco Tarquinio ribadiva: «Meglio tardi che mai». Proprio così: meglio tardi che mai anche l’altro «non profit» si è accorto dell’ingiustizia e inizia a condividere (più o meno conscientemente) una battaglia che doveva già da tempo essere di tutti. Nessuno dice che non si debba più pagare l’Imu, ma solo che bisogna distinguere le attività esclusivamente commerciali da quelle a carattere sociale, tenendo conto che in molti casi svolgono ruoli di supplenza anche per persone mandate dagli stessi enti pubblici. Lo hanno ribadito i vescovi italiani nel loro ultimo comunicato: non s’intende «difendere privilegi, quanto veder riconosciuto il valore sociale delle attività svolte da una pluralità di enti non profit, tra i quali quelli ecclesiastici; attività che sono tanto più preziose in un contesto di crisi come l’attuale».
Andrea Fagioli