Il trasloco della sede centrale di Toscana Oggi. Oltre il piano emotivo, i luoghi non contano: contano le persone

Caro direttore, lascia che ti esprima il mio sconcerto e non poco dispiacere, a seguito del trasferimento della vostra redazione regionale di Firenze da Via dei Pucci a Via della Colonna. Non conosco le motivazioni di questo trasferimento, ma credo che chi ha preso tale decisione, non conosca a fondo né le origini, né tantomeno i legami storici – ma potrei scrivere affettivi – che legano il vostro Settimanale al cattolicissimo Palazzo Pucci.

Dico soltanto che lo strappo mi pare troppo forte! La storia è lunga e non può trovare spazio in una lettera, ma lascia che ricordi le sue origini, immortalate nella targa marmorea esposta fin dal dicembre del 1924 – erano i tempi del cardinale Alfonso M. Mistrangelo – nel cortile interno del palazzo, là dove si segnalava la totale disponibilità di quelle mura, all’accoglienza delle associazioni cattoliche cittadine. E tra queste, nell’immediato secondo dopo guerra, era l’8 dicembre del 1945, nacque a Firenze «L’Osservatore Toscano» che aveva fatto seguito all’esperienza di un anno prima del giornale «Giovani», sempre redatto a Palazzo Pucci e diretto da don Giulio Facibeni. Quel don Giulio Facibeni – Fondatore dell’Opera Madonnina del Grappa – incardinato a Rifredi dal medesimo cardinale Mistrangelo e che fece per primo la scelta di evangelizzare, a livello diocesano, attraverso la stampa. Il Pievano di Rifredi fece questo in quegli anni, prima attraverso la «Voce Paterna» e successivamente con con il periodico «Vita Parrocchiale».

Un anno dopo l’uscita di «Giovani», sempre in Palazzo Pucci nacque «L’Osservatore Toscano», seguito, qualche decennio dopo, dall’attuale «Toscana Oggi». In aggiunta a queste sequenze storiche, accanto ai nomi dell’«Osservatore Toscano» e di «Toscana Oggi», mi verrebbe da scrivere i nomi dei vari direttori. Segnalerò il primo e l’ultimo (prima di te naturalmente): quel monsignor Pio Carlo Poggi, definito dallo storico don Silvano Nistri «uomo leale e coraggioso» e Alberto Migone, di fresca memoria, al quale per tutte le ragioni sopra esposte non sarebbe certamente piaciuto questo forzato trasferimento.

Mario Bertini

Carissimo Mario, ti ringrazio perché mi dai prima di tutto l’opportunità di scusarmi nuovamente con i lettori per la sospensione del numero precedente a causa del trasferimento della redazione regionale. Nella settimana in cui non siamo usciti abbiamo fatto il possibile (e anche un po’ d’impossibile) per essere operativi per questo numero. Almeno in parte ci siamo riusciti. Se leggi questa risposta vuol dire che il giornale è arrivato.

Venendo alla lettera, mi sembra che voglia essenzialmente testimoniare la tua vicinanza al giornale e l’amicizia per noi che ci lavoriamo. Devo dire che anche altri (non proprio tutti, a onor del vero) ci hanno manifestato il loro affetto in un momento certamente non facile, soprattutto per motivi logistici, ma anche affettivi. Personalmente bazzicavo le stanze di Via dei Pucci dal 1982 e ho continuato a farlo (a parte un intervallo di circa tre anni dal 1994 al 1997) fino allo scorso venerdì 23 giugno quando sono uscito per l’ultima volta senza più tornarci (almeno per il momento). Qualche collega ha iniziato a frequentare Via dei Pucci ancor prima, dai tempi della redazione toscana di «Avvenire», perché, come sottolinei anche tu, caro Mario, quel palazzo è da sempre la sede dei giornali, delle radio e dell’associazionismo cattolico. Qualche altro collega ha superato i miei anni in fatto di permanenza continuativa in quelle stanze. Palazzo Pucci, insomma, fa parte della nostra vita. Professionalmente parlando resterà il luogo dove molti di noi hanno passato la maggior parte del proprio tempo lavorativo e forse anche della vita stessa, considerando che lavorare da cattolici in un settimanale cattolico (che di per sé è una grande fortuna) ha comportato e comporta un surplus di impegno. Di fatto abbiamo svolto e svolgiamo qui anche la parte di volontariato che altri svolgono in ambienti diversi da quelli lavorativi come la parrocchia o le associazioni.

Ma al di là delle vicende personali, in Palazzo Pucci resta la storia di questi primi trentacinque anni di «Toscana Oggi» (c’è restato anche molto materiale che nella nuova sede non siamo riusciti a portare per motivi di spazio). Da lì sono passate anche tante persone: cardinali, vescovi, presidenti di regione, sindaci, assessori, ministri, parlamentari, intellettuali, scrittori, giornalisti, figure importanti dell’associazionismo e del volontariato. La nostra sala riunioni (la «Bibloteca», come la chiamavamo noi con un po’ di enfasi) era diventata punto di riferimento di tante associazioni e organismi ecclesiali. In fin dei conti, questo trasloco non è piaciuto neanche a me, come non sarebbe piaciuto all’indimenticato Alberto Migone che giustamente citi alla fine della tua lettera, caro Mario.

Però, l’aspetto emotivo non deve prevalere. A volte ai luoghi e alle cose ci si affeziona. È umano. Ma non sono i luoghi o le cose che contano, bensì le persone. E allora conta la famiglia di «Toscana Oggi», che è fatta da tutti coloro che ci lavorano (e non solo nella sede regionale, ma anche, e per certi versi soprattutto, nelle quindici redazioni locali). Una famiglia che è fatta dalla proprietà che la sostiene (le diocesi toscane), dai lettori e dai tanti amici come te, caro Mario. Per cui spero proprio che questo trasloco rappresenti una spinta per ripartire con più entusiasmo di prima. A volte i cambiamenti fanno bene, ridanno energia e motivazioni.

Andrea Fagioli