Caro Direttore,da un po’ di tempo avverto il ritorno di un sentimento di neo-militarismo, che si esprime attraverso i mass-media con il presentare le missioni militari all’estero come missioni di pace, avallate dalle più alte cariche dello Stato. Si insiste poi sulla futura efficienza dell’esercito professionista e così via.Mi sembra una tendenza molto pericolosa che può mettere in pericolo le stesse basi della democrazia. Non vorrei che in Italia si scivolasse verso posizioni tipo America Latina. Mi sembra che come cristiani facciamo poco per contrastare questa evoluzione culturale e sociale, preferendo vivere alla giornata invece di essere voce profetica. È vero che il Papa non fa altro che condannare la guerra, ma non mi sembra che la Chiesa nel suo insieme proponga soluzioni concrete contro la scelta di risolvere tutti i conflitti mondiali con la forza e con la guerra, invece che con il disarmo e la pace.Alessandro SalvatiViareggio (Lu)Può esser vero che in certi ambienti si tenda ad usare le missioni umanitarie come uno «specchietto» per attrarre risorse sulle spese belliche. Ma con altrettanta onestà dobbiamo riconoscere che, sul fronte opposto, vi sono ancora molti cattolici che disprezzano la scelta di servire la patria con le armi, in ogni caso, anche quando con il loro lavoro i militari portano pace e sicurezza a popolazioni martoriate (vedi Kosovo o Macedonia). È una posizione che mi sembra «vecchia» e che rischia anche di produrre l’effetto opposto, screditando l’intero movimento per la pace. Credo che non a caso Giovanni Paolo II abbia scelto il corso di formazione per cappellani militari, del 25-26 marzo 2003, per enunciare con chiarezza il pensiero della Chiesa sulla guerra in generale e su quella (allora) imminente in Iraq. Il corso riguardava, per l’appunto, il «diritto umanitario», cioè quell’insieme di «regole miranti a rendere meno disumane le operazioni belliche». «Dovrebbe ormai essere chiaro a tutti affermava il Papa che la guerra come strumento di risoluzione delle contese fra gli Stati è stata ripudiata, prima ancora che dalla Carta delle Nazioni Unite, dalla coscienza di gran parte dell’umanità, fatta salva la liceità della difesa contro un aggressore. Il vasto movimento contemporaneo a favore della pace la quale, secondo l’insegnamento del Concilio Vaticano II, non si riduce a una semplice assenza della guerra (Gaudium et spes, 78) traduce questa convinzione di uomini di ogni continente e di ogni cultura». E concludeva: «A tutti viene ora chiesto l’impegno di lavorare e pregare affinché le guerre scompaiano dall’orizzonte dell’umanità».Per un cristiano è questo il «quadro» nel quale collocare sia l’impegno per la pace del cittadino comune che quello, più particolare, di chi sceglie di difenderla la pace attraverso l’uso delle armi.