Il passaggio di consegne tra Letta e Renzi
Caro direttore, il fine giustifica i mezzi? È iniziata male, quasi «a tradimento» verso Enrico Letta, la salita a Palazzo Chigi di Matteo Renzi. Mi auguro che a pagare il prezzo di questo non siano gli italiani. Specie quelli di ceto medio-basso. E questo anche in caso di elezioni anticipate tra qualche mese. Vedremo in seguito.
Il nostro pievano emerito della parrocchia San Martino di Sesto Fiorentino, don Silvano Nistri, nella omelia odierna (domenica 23 febbraio) sul Vangelo, centrato su «amate i vostri nemici», opposto alla vecchia legge del taglione «occhio per occhio, dente per dente», ha invitato i fedeli a leggere l’Evangelii gaudium di Papa Francesco, dove al punto 229 tratta del richiamo evangelico alla riconciliazione, criterio fondamentale anche nella vita pubblica, oggi tanto conflittuale. Il riferimento e la riflessione si sono spostati sulla contingente vicenda, svoltasi a Palazzo Chigi, riguardo al cambio della guida del Governo, con il passaggio della “campanella” tra l’ex Presidente del Consiglio, Enrico Letta e l’attuale premier, Matteo Renzi. Si è assistito ad un rituale istituzionale, trasmesso in diretta, caratterizzato da una fredda cerimonia e sbrigativa formalità.
Gli organi di informazione – come ha rilevato con rammarico don Nistri – hanno messo in evidenza nei titoli e ancor più nei contenuti, il distacco e l’indifferenza relazionale nell’avvicendamento dei ruoli fra i due personaggi, pur accomunati da identica formazione e militanza politica. Si è teso, in tal senso, a descrivere ed ampliare una sorta di conflitti e rivalità presenti nel confronto e nella discussione politica «sempre minacciati dalla dispersione dialettica», mentre il paese si dibatte nella più grave crisi economica degli ultimi decenni. Conflitti generati non solo da divisioni ideologiche ma anche da posizioni personali fortemente diversificate che rischiano di protrarsi in un processo senza fine. Ne deriverebbe, se non riconciliati, come afferma il Papa nella citata esortazione, una contesto ed un clima di «cuori spezzati in mille frammenti con la difficoltà di costruire un’autentica pace sociale».
La persona e la comunità restano invece il fine della politica e di chi è chiamato ad esercitarla , anche nelle diversità delle idee e della rappresentatività. E i mezzi di comunicazione sociale sono chiamati, a loro volta, ad esercitare eticamente un servizio fornendo messaggi e valutazioni che aiutino a intravedere la giustizia, la verità, il bene.
Carissimi Giovanni e Arrigo, metto insieme le vostre lettere, sia pure diverse nei toni, perché sostanzialmente riferite allo stesso fatto: il passaggio di consegne tra Enrico Letta e Matteo Renzi alla presidenza del Consiglio dei ministri, sia dal punto di vista politico (a cui si riferisce Manecchia) che da quello apparentemente formale (a cui si riferisce Canzani). Premetto che non sono tra quelli che sanno tutto (ce ne sono anche troppi in giro in questi giorni), anzi: so ben poco di quello che nelle ore precedenti alle dimissioni di Letta è successo nei palazzi della politica e non solo in quelli. Sono però convinto che Renzi, pur volendoci arrivare a tutti i costi, avrebbe aspettato volentieri ad andare a Palazzo Chigi, magari dopo le elezioni. Lo dimostra la coalizione che è stato costretto ad accettare (le vituperate «larghe intese») e la stessa lista dei ministri, che non è certo quella che Renzi avrebbe voluto, compresi gli esponenti del suo partito scelti a copertura delle varie anime interne.
L’impressione è che il presidente della Repubblica abbia voluto imprimere un’accelerazione. Teniamo presente che Giorgio Napolitano, alle soglie dei novant’anni, è stato anche lui costretto a rimanere al Quirinale per l’incapacità delle forze politiche a mettersi d’accordo su un altro nome. Nonostante questo si è preso le bordate del Movimento 5 stelle, ma anche di Forza Italia, che l’aveva pure votato. A questo punto deve aver preteso il tutto per tutto chiamando Renzi a formare il Governo. Un incario, quello affidato all’ormai ex sindaco di Firenze, per il quale devono aver fatto pressione anche altri: dagli industriali ad alcuni esponenti del suo stesso partito. Ciò non significa che Letta abbia fatto male (se non altro ci ha fatto riguadagnare credibilità all’estero), ma forse si è resa necessaria una svolta più decisa che solo uno come Renzi sembra in questo momento in grado di imporre, soprattutto per la sua innegabile determinazione.
Sull’altra faccenda, non vi è dubbio che da un punto di vista formale il passaggio delle consegne tra Letta e Renzi sia stato gelido, nonostante il «campanello», ma è altrettanto vero, come scrive Canzani, che non dovrebbe essere questo a dettare i titoli principali di giornali e telegiornali, che peggio ancora hanno fatto domenica scorsa concentrandosi sulla pasta in bianco e i petti di pollo mangiati a pranzo da Renzi e dalla sua famiglia dopo la Messa a Pontassieve. Chi lo ho visto pensi all’episodio di Leopoldo Pisanello, alias Roberto Benigni, nel film di Woody Allen To Rome with Love. Ma quello era un film, questa è la realtà. Certe cose, come l’assedio continuo di telecamere e taccuini nei confronti del neopremier (che neppure può affacciarsi alla finestra della sua nuova residenza istituzionale romana), non fanno onore alla categoria. Ma questo, purtroppo, è il circo mediatico che sembra avere scoperto in Matteo Renzi il protagonista ideale da raccontare, al di là della politica però.
Andrea Fagioli