Il Natale cristiano non ostacola il dialogo: lo favorisce

Ormai da alcuni anni si ripresentano casi in cui le autorità scolastiche o politiche locali decidono di evitare l’esposizione di presepi o mostre che si ricollegano all’evento storico della venuta sulla terra del Dio fatto uomo. Credo che, in particolare in una società multietnica, ogni confronto sia possibile soltanto attraverso storie culturali diverse. La rinuncia al presepio è soltanto frutto della incapacità di confrontarsi e di dialogare con persone (anche bambini) che hanno scelto un diverso credo religioso. Il confronto è arricchimento culturale e valoriale, che è l’esatto contrario di un insignificante neutralismo, adottato per non urtare le diverse sensibilità. Si tratta di avere sufficiente autorevolezza nello svolgimento delle proprie funzioni e di agire, responsabilmente, con il necessario equilibrio per evitare ogni forma di conflittualità, sia all’interno della scuola che della società.

Giuseppe Delfrate

Grazie, caro Delfrate, per questa breve, efficace e condivisibile riflessione alla quale potrei anche non aggiungere niente se non il fatto che credo prenda spunto da quel dirigente scolastico di Rozzano che ha ritenuto i canti religiosi di Natale una provocazione pericolosa dopo i fatti di Parigi. In questo senso, per non passare per quelli che «fanno discorsi a prete», mi piace segnalare due interventi di laici usciti sui due quotidiani italiani più diffusi e che a volte sposano pure posizioni laiciste.

A proposito di quel dirigente scolastico, il «Corriere della Sera» del 28 novembre a firma di Antonio Polito, parla di «pura ignoranza» di «chi in Italia confonde l’obbligo alla laicità del nostro sistema educativo con la negazione della religione. Il nostro preside, che gestisce una scuola in cui il 20% degli studenti è straniero, ritiene che il suo compito sia quello di nascondere ai genitori musulmani che il restante 80% è fatto da cristiani. Invece di promuovere un dialogo, per esempio spiegando ai bimbi cristiani in che cosa consista il credo dei loro compagni di banco islamici e viceversa, il preside promuove il silenzio, la censura, estesa fino al canto di Natale (c’è un istituto a Fonte Nuova, in provincia di Roma, dove hanno addirittura fatto sparire il bambinello dal presepe). In compenso la scuola di Rozzano trabocca di alberi di Natale e di Babbi Natale, quasi come a dire che far festa si può, ma senza religione. Il guaio è che il 25 dicembre, per quanto multietnici vogliamo diventare, si celebra la nascita di un personaggio storico chiamato Gesù Cristo. Che tra l’altro, è rispettato e venerato anche dalla religione islamica».

«Quando in una scuola pubblica si sceglie di non fare il presepe o di rinunciare ai canti di Natale per non urtare la suscettibilità dei non cristiani – spiega Michele Serra nella sua rubrica “L’amaca” su “La Repubblica” del 29 novembre – non si fa torto solamente alle “nostre tradizioni”, come lamentano gli ultras dell’identità tradita. Si fa torto all’idea stessa della convivenza fra culture: in un colpo solo, si tradiscono usanze profondamente radicate anche fra gli italiani laici e si abbandona l’idea stessa di un futuro, se non di tolleranza, di reciproca sopportazione. Negando il passato, si ripudia il futuro. Non c’è gesto più islamofobo che censurare la nostra vita comunitaria e nascondere il nostro vero volto di fronte ai musulmani come se noi per primi li ritenessimo non in grado di accettare ciò che siamo…. Se un musulmano è ospite a casa mia non gli offro vino e carne di maiale; ma certo non nascondo le bottiglie e i salami. Come posso rispettarlo, se non ho rispetto per me stesso?».

Andrea Fagioli