Il diritto di crescere con un padre e una madre
Gentile direttore, il realismo che muove il candore adolescenziale della mia figlia adottiva sedicenne, a margine dell’ascolto della notizia relativa alla sentenza della Corte di Cassazione che, respingendo il ricorso del padre, ha confermato la permanenza della figlia in un nucleo omosessuale composto dalla madre e dalla sua convivente, l’ha portata a dirmi «Babbo, ti sembra giusto che si possa crescere senza un padre e una madre? Non mi pare che questa possa dirsi una famiglia». Ho cercato di dare una risposta priva di venature ideologiche, ma basata sul diritto naturale e sulla normativa vigente nel nostro Paese, e ho risposto con tranquillità a mia figlia, che a mio avviso non esiste altra famiglia se non quella costituita da un uomo e una donna, e che attribuisce stabilità affettiva con il matrimonio, e che comunque, anche dinanzi ad un’eventuale convivenza extraconiugale è necessaria l’eterosessualità dei componenti la coppia.
Va detto per chiarezza, e per evitare fuorvianti letture estensive, che le conclusioni di quella sentenza introducono un precedente giurisprudenziale infelice, ma non creano una norma, e che quindi non stravolgono il diritto vigente, ma non ritengo accettabile che si possa, ad opera di chi dovrebbe applicare il diritto, procedere a bizzarrie interpretative.
In buona sostanza si è posto a carico del padre ricorrente, l’onere di provare che il vivere con una coppia omosessuale sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino, perché altrimenti saremmo in presenza di un pregiudizio.
Penso che il vero pregiudizio, basato su presupposti ideologici e non giuridici, sia quello che ha mosso il commento di chi ha emesso la sentenza, sordo sia dinanzi alla Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1999 che all’art. 7 dice «il fanciullo ha diritto a conoscere i suoi genitori e ad essere allevato da essi», sia all’art. 29 della Costituzione che, dopo aver detto che «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio», aggiunge che «è dovere dei genitori mantenere e educare i figli».
Forse, confermando il dissenso di mia mia figlia dinanzi ad una situazione che ha ritenuto innaturale, ho dato risposte che il senatore Marino potrà considerare viziate da «vedute con le lenti del Novecento», ma se si ritiene che snaturare la famiglia propriamente detta, creando artificiosi surrogati che si vogliono far passare per «diritti civili» sia un elemento di progresso, sono geloso della mia presunta conservazione.
Che altro aggiungere alla tua lettera, caro Daniele? Niente. Hai detto tutto con estrema precisione e con te l’ha detto tua figlia, che non potrà certo essere accusata di posizioni ideologiche o arcaiche. L’unica consolazione è che, come spiegato dal presidente emerito della Corte costituzionale Cesare Mirabelli, «la sentenza della Cassazione si riferisce a un caso specifico» e non offre «enunciazioni assolutizzanti da estendere, per esempio, all’adozione».
Andrea Fagioli