Il culto della personalità non risparmia nemmeno la musica

Caro Direttore, negli anni è diventata ormai consuetudine una «moda» in linea con la più bassa concezione del consumismo: i manifesti dei teatri italiani lirici scrivono a caratteri cubitali i nomi dei direttori delle orchestre e a caratteri a volte persino illeggibili quelli dei compositori. È un «culto della personalità» che poi, ovviamente, ha una pesante ricaduta sui costi: non so se sia vero ma sembra che i direttori d’orchestra dei nostri enti lirici siano tra i più pagati del mondo. Penso sarebbe bene che questo brutto costume avesse fine. Certo, ci sono direttori di grande fama che richiamano il pubblico; ma con tutto il rispetto dovuto ai tanti Muti, Mehta, Baremboin, Chailly e via dicendo non bisogna dimenticare che le loro bacchette disegnerebbero vani segni nel vuoto se non fossero esistiti i Beethoven, i Mozart, i Verdi, i Mahler…. Non solo: le note scritte – spesso col sangue e col sudore – da questi geni della musica resterebbero lettera morta se centinaia di musicisti che hanno dedicato e dedicano gran parte della loro vita allo studio degli strumenti non dessero loro una voce. E dunque: più rispetto per i compositori e per gli orchestrali.

Renzo Ricchi

Il problema che affronti, caro Renzo, è abbastanza particolare. Direi un po’ da addetto ai lavori. E tu lo sei per l’attività di giornalista, di critico e di scrittore anche per il teatro. C’è però un aspetto interessante, che tu giustamente sottolinei, e che può essere esteso a tante altre situazioni: il culto della personalità. Sicuramente il mondo dello spettacolo, anche oltre la musica, si presta più di altri a questo. Nel cinema molto spesso i singoli attori prevalgono, come richiamo, sui registi e gli sceneggiatori, che sono i veri autori, mentre gli interpreti sono esecutori. I programmi televisivi, compresi quelli di informazione, si basano sul personaggio conduttore: da Maria De Filippi a Bruno Vespa. Anche nello sport di squadra si previlegia in modo contraddittorio il singolo. Pensiamo ai titoli del calcio il lunedì sui giornali. Conta chi fa gol, dimenticando gli altri dieci che gli hanno permesso di farlo. Persino i partiti politici, da un po’ di tempo a questa parte, sono stati personalizzati. Le idee non contano più. Conta il personaggio. Ecco allora che al posto dei simboli compaiono i nomi. Francamente non è un bell’andazzo.

Andrea Fagioli