I vescovi sui migranti: no alle paure, sì all’accoglienza

Egregio direttore, dopo le sofferenze anche l’oltraggio. Sono una delle ultime provocazioni del Ministro degli interni, Matteo Salvini, nei confronti dei migranti-profughi, che vorrebbe vedere in manette prima dello sbarco in un qualsiasi porto italiano, comunque sempre precluso ad ogni nave, anche dopo il salvataggio in mare dei naufraghi. Sono affermazioni dispotiche, senza pietà e umanità, ancor più inquietanti perché, a suo dire (e di chi la pensa come lui nel governo), interpretano il pensiero degli italiani che approverebbero a maggioranza l’operato del capo del Viminale, anche quando si è in presenza di violazione dei diritti umani fondamentali. Nelle sue dichiarazioni emerge un cinismo, una durezza, non tanto per quello che dice «lotta al traffico degli esseri umani e agli scafisti» che ovviamente trova tutti d’accordo, quanto per ciò che non dice rispetto al dramma degli immigrati. Non una parola di compassione per quanti rischiano di restare vittime dei propri desideri, cioè del pericolo di perdere la vita in mare, prima di approdare ad un porto della speranza e di una nuova esistenza. Ancor più angoscianti le vicende di tante donne: oltre ad andare incontro alle stesse rischiose e a volte tragiche incognite, sono costrette a subire abusi e stupri per conquistare – dopo tali e ignobili violenze – un «posto» sui barconi, nel tentativo di raggiungere un ancoraggio nei lidi della salvezza e dei «sogni». Prima della revisione dei trattati per individuare e intraprendere precisi impegni e responsabilità comuni riguardo al fenomeno epocale dell’immigrazione che accompagnerà, in prospettiva, la storia del mondo (e il nostro Paese è il più esposto a fronteggiare le complesse e imprevedibili vicende), dovrebbe prevalere, nella posizione e nel «cuore» dell’Europa, la convinzione che il principio di salvare le vite umane è un punto di onore, di dignità, di dovere, di civiltà dai quali, per nessuna ragione, è ammissibile sottrarsi.

Arrigo Canzani

In una recente omelia sui migranti, Papa Francesco riportava le parole del Profeta Amos in cui denuncia con forza coloro che calpestano i poveri e schiacciano gli umili ammonendoli di convertire il loro cuore al bene e al Signore perché potrebbero arrivare giorni di forti carestie esattamente come fu al tempo di Giuseppe il figlio di Giacobbe quando era in Egitto come Ministro al servizio del Faraone in cui adottò una politica solidale facendo svuotare tutti i granai per fare una giusta ridistribuzione verso i bisognosi che venivano da fuori per avere un piccolo aiuto (il tutto è tratto dal Libro della Genesi). Tutto questo per ricordare il valore che c’è nel saper accogliere e aiutare un bisognoso che molte volte è costretto a lasciare il suo Paese e le sue genti per trovare accoglienza altrove. Non possiamo pertanto escludere gli altri sopratutto quelli che sono più in difficoltà e chi si muove più lentamente perché ciascun individuo e paese segue i propri ritmi e tempi che non sono uguali ad altri ma non per questo peggiori.

M.G.

Gentile redazione, ai nuovi governanti vorrei dire che sugli immigrati non serve giurare sul Vangelo e poi non accettarli, il problema degli immigrati va gestito con intelligenza, responsabilità e soprattutto con grande umanità, se gestito bene, può essere una risorsa per il nostro paese e per l’Europa, visto il calo demografico, poi hanno una dignità da rispettare. Altro che proclami di razza bianca, d’insulti e parole dispregiative nei confronti di avversari politici, la razza è una sola, quella umana, il rispetto degli avversari politici e delle persone è un grande valore umano, ora è arrivato il momento di mettersi a lavorare per il bene comune.

Francesco Lena

Pubblichiamo alcune delle lettere arrivate sulla questione degli immigrati e sulla posizione del governo, in particolare del ministro Salvini. Sono però precedenti alla nota della presidenza della Conferenza episcopale italiana dal titolo «Migranti, dalla paura all’accoglienza», diffusa dopo l’ennesima tragedia di morti in mare. Si tratta di un intervento che credo faccia molta chiarezza sull’argomento, anche perché, come pastori della Chiesa, i vescovi non offrono «soluzioni a buon mercato», ma rispetto a quanto accade, non intendono «né volgere lo sguardo altrove, né fare proprie parole sprezzanti e atteggiamenti aggressivi». E nemmeno possono lasciare «che inquietudini e paure condizionino le nostre scelte, determino le nostre risposte, alimentino un clima di diffidenza e disprezzo, di rabbia e rifiuto».

«Gli occhi sbarrati e lo sguardo vitreo di chi si vede sottratto in extremis all’abisso che ha inghiottito altre vite umane – scrive la presidenza Cei, riferendosi a Josephine (la giovane salvata in mare dopo dopo due giorni alla deriva su un pezzo di legno) – sono solo l’ultima immagine di una tragedia alla quale non ci è dato di assuefarci. Ci sentiamo responsabili di questo esercito di poveri, vittime di guerre e fame, di deserti e torture. È la storia sofferta di uomini e donne e bambini che – mentre impedisce di chiudere frontiere e alzare barriere – ci chiede di osare la solidarietà, la giustizia e la pace».

Come vescovi, prosegue la nota, «animati dal Vangelo di Gesù Cristo continuiamo a prestare la nostra voce a chi ne è privo. Camminiamo con le nostre comunità cristiane, coinvolgendoci in un’accoglienza diffusa e capace di autentica fraternità. Guardiamo con gratitudine a quanti – accanto e insieme a noi – con la loro disponibilità sono segno di compassione, lungimiranza e coraggio, costruttori di una cultura inclusiva, capace di proteggere, promuovere e integrare». In modo «inequivocabile», conclude la nota, «avvertiamo che la via per salvare la nostra stessa umanità dalla volgarità e dall’imbarbarimento passa dall’impegno a custodire la vita. Ogni vita. A partire da quella più esposta, umiliata e calpestata».

Credo ci sia poco da aggiungere, anzi: niente.

Andrea Fagioli