I vescovi e la nuova Dc

Caro Direttore,l’articolo-saggio di Dino Boffo dal titolo «Neoguelfi? No, però mai più subalterni», pubblicato su «Avvenire» del 27 febbraio, è di grande interesse. Il direttore del giornale dei Vescovi italiani pone in sostanza la seguente questione. Dato che «un partito politico di ispirazione cristiana, che sia in grado per peso e dimensioni di far dipendere da sè i destini del Paese», allo stato attuale, non esiste, come è possibile che i cattolici non siano politicamente «subalterni»? E insieme: come è possibile che i Vescovi non siano accusati di essere «comandoni», ovvero di intervenire direttamente nelle scelte politiche? Che questa sia la sostanza è confermato dal titolo del saggio di Boffo: «Neoguelfi? No, però mai più subalterni», titolo che deve essere tradotto come segue: «Costruire una nuova Dc? No: per i Vescovi la Dc è morta, a loro non interessa rifarne un’altra, e vogliono addirittura contrastarne la rinascita, perché per ottenere ciò che interessa loro è più facile mobilitare i cattolici sparsi nei vari partiti oggi esistenti». La risposta di Boffo non solo è contraddittoria in sé, ma finisce per riproporre, per il male che intende combattere (la fine della vecchia Dc), un rimedio ancora peggiore, e da lui stesso giustamente temuto, cioè l’interventismo da parte dei Vescovi. Se provvedimenti che interessano ai cattolici sono diventati legge non è soltanto per un voto trasversale: è anche perché un partito ha lavorato in maniera compatta, difeso e migliorato le proprie proposte nelle istituzioni, proponendo e respingendo emendamenti, etc. In secondo luogo, il coordinamento dell’azione dei cattolici nelle Istituzioni, se non viene svolto da un partito, difficilmente potrà esser svolto da gruppi variabili di eletti, perché appunto i partiti hanno le loro regole e una loro disciplina. In condizioni del genere, gli unici che potrebbero svolgere un tale coordinamento sarebbero i Vescovi. Ma si esporrebbero apertamente all’accusa di cui Boffo giustamente si proccupa, cioè di intervenire indebitamente in questioni politiche. Una nuova Dc, ossia un partito organizzato che si sviluppi liberamente a partire dalla dottrina sociale della Chiesa, in collaborazione con la cultura laica, sarebbe lo strumento insieme più efficace e più semplice per la politica dei cattolici.Andrea PoliAntella (Fi) La «traduzione» che lei, caro signor Poli, fa del titolo dell’articolo di Dino Boffo è, diciamo così, un po’ estrosa e così ne trae conclusioni fuorvianti, anche se introducono un tema che meriterebbe approfondimento perché investe il ruolo della Gerarchia dopo la fine dell’unità politica dei cattolici. Ma gli interrogativi che il Direttore di «Avvenire» pone sono altri e chiedono una seria riflessione. È possibile un «ritorno sulla scena politica di un partito di ispirazione cristiana che sia in grado per peso e dimensione di far dipendere da sé i destini del Paesecioè di una nuova Dc? Lei propende per il sì, anche se mi sembra che soprattutto ne sottolinei la necessità; Boffo ritiene di no. Ma allora che fare per non essere «mai più subalterni», cioè insignificanti e marginali nell’ambito socio-politico? La domanda è aperta, ma la risposta risolvente non c’è. Eppure qualche pista si può già individuare. C’è prima di tutto quella della cultura alta cioè del ritrovare, alla luce della Dottrina sociale cristiana, la capacità di elaborare progetti per l’oggi della nostra società in una riflessione che sappia farsi poi proposta politica alternativa, ma soprattutto identità culturale, cultura diffusa. È questa l’attuale sfida per i cattolici: dalla subalternità si esce con il peso delle idee e la capacità propositiva e si può superare ogni sudditanza. È questo un percorso culturale prima ancora che politico, non certo di breve periodo: gli strumenti verranno dopo e saranno determinati dai tempi e dalle circostanze.Serve però anche ritrovare e potenziare un intelligente collegamento tra i cristiani, ovunque politicamente collocati, nella ricerca paziente della massima unità oggi possibile. In tutto questo i nostri giornali hanno un ruolo, anche innovativo rispetto al passato: offrire concretamente stimoli al mondo cattolico e proporsi come luogo in cui si può confrontarsi senza scannarsi.