I profughi tra legge morale e leggi dello Stato

Caro direttore,

ti prego di pubblicare, vista l’estrema attualità, queste mie riflessioni di argomento giuridico su un errore che a mio parere compie chi perseguiti quei pescatori che salvano vite umane. Pare, non so per quale legge, sia impedito o sia stato impedito ad alcuni pescatori di soccorrere in mare persone in pericolo di vita. Se fosse vero, la Capitaneria di Porto non avrebbe tenuto conto dell’articolo 54 del Codice penale che parla di «Stato di necessità». In base a tale articolo non è punibile chi è «costretto dalla necessità di salvare sé od altri da pericoli gravi… da lui non volontariamente provocati né altrimenti valutabili….».

Nella nostra vita cittadina questo articolo del codice ci giustifica quando per la strada aiutiamo un senegalese e gli compriamo qualcosa, senza chiedergli se paghi l’Iva o abbia il permesso di soggiorno, ma lo facciamo solo perché altrimenti resta a digiuno! Oppure intervengono per «stato di necessità» tante associazioni di solidarietà, cattoliche e anche laiche, quando distribuiscono (e fanno bene) pasti caldi, pacchi viveri a chi ne abbia bisogno, o aprono docce, senza farsi mostrare il Codice fiscale e altri documenti. Certo, non chiedere il permesso di soggiorno sarebbe solo un espediente da condannare quando si assumesse personale irregolare per un lavoro, magari per un lavoro pericoloso. Apprendo ora che i superstiti sono sotto inchiesta per «ingresso clandestino».

A parte l’opportunità di rendere nota una fase preliminare di indagine, mi sembra che in questo caso siamo nel caso di «reato impossibile» o solo «progettato ma non realizzato» perché un naufrago non viene a riva per volontà e soprattutto nessuna persona, anche se sappia nuotare, può percorre i mille e 700 metri che separavano la barca dalla riva senza morire assiderata o annegare. Inoltre quasi tutti i sopravvissuti sono minorenni. Spero che tutti i procedimenti siano immediatamente archiviati destinando spese e personale a indagini più importanti. Qua il discorso si chiude. Un pescatore che vede una mano uscire dal mare e chiedere soccorso, può intervenire senza nessuna incertezza. Questo soccorso è imposto da quella che un pescatore ha definito «legge del mare», potremmo parlare anche di «legge morale».

Infine occorre ricordare l’invito evangelico alla solidarietà per il Prossimo e basta questo a noi cristiani per intervenire subito e senza pensarci nemmeno un istante. Per queste leggi non solo «si può» ma «si deve» intervenire, senza neppure cambiare le cosiddette «vigenti leggi» dello Stato.

Nereo LiveraniFirenze

Ti ringrazio, caro Nereo, per questa lettera che, oltre a precisare alcuni elementi legislativi codificati, diventa una testimonianza sulla «legge morale» e soprattutto sulla «legge del Vangelo». E mentre ti rimando a quanto scrive in prima pagina, con la consueta lucidità ed efficacia, il nostro Romanello Cantini, vorrei citarti un film, «Terraferma» di Emanuele Crialese, che affronta proprio il tema della tua riflessione. Nel film, ambientato ovviamente in un’isola di sbarchi di clandestini, le reazioni dei pescatori e dei loro familiari sono diverse: alcuni si appellano alla «legge del mare», altri per paura della legge dello Stato ricacciano in mare gli immigrati a colpi di remo. Alla fine prevarrà su tutti il senso di solidarietà nei confronti di altri esseri umani, ma il film continuerà a sottolineare come le sofferenze siano in gran parte dovute a leggi ingiuste, che impediscono a delle persone di aiutare altre persone, sanzionando in modo crudele ogni gesto di solidarietà e creando così atteggiamenti a loro volta crudeli e disumani. L’ultima immagine (la piccola barca che si allontana in mezzo al mare con la madre immigrata e i suoi bambini) pone di fatto un interrogativo: un gesto umano di pietà (quello dei pescatori che mettono a disposizione la barca), per quanto necessario ed encomiabile, può risolvere un problema così grosso se non supportato da leggi giuste e rispettose della dignità delle persone?

Andrea Fagioli