I nostri non sono Paesi per bambini
Gentile direttore, i più lo dipingono un Paese «family friendly»: congedi di paternità e maternità, scuole dell’infanzia a gogò, contributi per la crescita dei figli. Il quoziente familiare adottato dallo Stato è osservato con un pizzico di invidia dal Forum italiano delle associazioni familiari. Se in Francia il tasso di natalità è intorno al 2,1 figli per donna fertile dicono gli analisti lo si deve a politiche amiche della famiglia. Nel mese scorso ci siamo recati a Parigi. Due adulti, quattro bambini. Certi di trovare accoglienza e simpatia. Siam tornati in Toscana delusi.
Prima tappa: l’ufficio turistico. Chiediamo: «I grandi musei parigini prevedono percorsi ad hoc per i bambini?». L’operatrice sgrana gli occhi. «Sorry». Niente di niente. Di là da Disneyland, la città non offre molto agli «under 12». Non desistiamo. La prima sera usciamo dalla metro e si spalanca di fronte ai nostri occhi la Tour Eiffel illuminata. Ai suoi piedi chi troviamo? Mario Sberna, presidente nazionale dell’Associazione famiglie numerose.
Louvre, «ingresso free» per gli «under 26». Due ticket, venti euro. Un affare, per la visita di uno dei musei più famosi al mondo. Discreta accoglienza, alla reception ti danno persino un passeggino se ne sei sprovvisto e devi scarrozzare il tuo bebé. Quando però ho provato a mettere «cavacecio» il piccoletto sono stata assalita da un’agente del servizio d’ordine: «Non potete tenere il bambino sulle spalle mi dice la signora : lo vieta il regolamento». Perché? «Potrebbe cadere e se si fa male potreste denunciare il direttore del Museo».
Ferragosto, cattedrale di Notre Dame. A fatica entriamo in chiesa per la celebrazione pomeridiana presieduta dall’arcivescovo di Parigi, il cardinale André Armand Vingt-Trois. Il piccolo dorme sul passeggino. Una dipendente della locale fabbriceria si avvicina con aria minacciosa, costringendomi a prendere in braccio il bambino, a chiudere il passeggino e a depositarlo vicino ad una colonna. Naturalmente il pupo di lì a poco si sveglia e comincia a lagnarsi. I fedeli a noi vicini danno segni di insofferenza. Cerco la dipendente per porgerle in braccio il bambino, senza fortuna.
Versaille, reggia imperiale. Qui il passeggino non viene ammesso. E così ci carichiamo il piccolo in collo per diverse ore. Inutili le proteste rivolte ai dipendenti. L’audioguida ci aiuta a leggere i simboli di un passato glorioso. Nessuna registrazione specifica però per i bambini (e sono tanti quelli al seguito dei loro genitori). Fortuna c’è la guida Michelin, portata da casa. Fortuna sono maestra supplisco io alle mancanze dell’organizzazione. Naturalmente il passeggino possiamo riprendercelo per attraversare gli infiniti giardini. Anche questi sono a pagamento, in questo caso anche per i bambini sopra i sei anni. Motivo: nel week-end quei giardini ospitano i grandi «jeux d’eau«. Gli organizzatori promettono mirabolanti giochi d’acqua al ritmo di musica. Ma di ritmo e di mirabolanti acrobazie d’acqua nemmeno l’ombra Un furto. Arriviamo al «Petit Trianon» e, come prassi, la signora mi invita a consegnarle passeggino e zaino. La metto alla prova: le consegno il passeggino con dentro il bambino. Lei va nel panico. Ma non cede di un millimetro. «Toilette free» indica a più riprese la segnaletica: sì, ma inutilizzabile constatiamo noi. Al ritorno guadagniamo l’uscita. Ci impediscono di passare dalla corsia centrale, deviandoci verso una via d’uscita laterale, dove però troviamo barriere architettoniche. Attendo quaranta minuti prima che un’addetta venga ad aiutarmi a salire su quei gradini con il passeggino.
La Villette, Museo della Scienza. Ecco un luogo pensiamo noi dove possiamo trascorrere un intero giorno suscitando nei nostri figli mille curiosità. Il pacchetto proposto: documentario in 3D alla Geode e visita alla città dei bambini. Alla fine scuciamo settanta euro, ma non possiamo fermarci più di due ore e mezzo, perché dalle curiose sale della città dei bambini i bambini vengono dolcemente allontanati dopo novanta minuti.
Carissima Valentina, abbiamo deciso di pubblicare per intero la tua lettera, nonostante la lunghezza un po’ fuori dall’ordinario per questa rubrica, proprio perché anche quello che è accaduto alla tua bella famiglia sembra un po’ fuori dall’ordinario. Potrebbe persino passare per un gustoso racconto delle peripezie di una famiglia numerosa in vacanza. Invece, quello che ci racconti, con una giusta puntigliosità (la stessa, presumo, mostrata dal vivo a quella inserviente attesa 40 minuti), è una cronaca che dimostra quanto i nostri (parafrasando il titolo del film dei fratelli Coen, «Non è un Paese per vecchi») non siano Paesi per giovani, men che meno per bambini. È una dura realtà. Assistiamo alla rivendicazione dei diritti di tutti e di tutto e non si pensa ai diritti dei più piccoli e delle loro famiglie. Altro che nuove politiche familiari, qui ci vogliono una nuova cultura e una nuova scala di valori. O forse sarebbe sufficiente tornare alle vecchie… scale di valori.
Andrea Fagioli