I laici escano allo scoperto e si rendano disponibili all’azione

Caro direttore, leggo nell’ultimo numero del tuo settimanale l’articolo di Umberto Folena sugli scandali nella Chiesa e finalmente scopro di non essere solo, vecchio pessimista visionario, e che il mio dolore per quanto sta accadendo, e il disagio, e le incertezze su come metterla con la mia fede, ma ancor più i miei correligionari e i preti in genere, sono condivise.

Folena lancia un appello appassionato e intelligente, e tu, caro direttore, compi un atto di coraggio non da poco nel farne l’editoriale del tuo giornale. Che sia chiaro – partecipai alla sua fondazione, tanti anni fa – è ormai una testata indispensabile a chiunque per avere un quadro del presente, può contare su ottimi giornalisti, e per questo deve superare ogni complesso di inferiorità verso la stampa così detta laica, un complesso che ogni tanto la rende più attenta alla piccola cronaca che al grande confronto delle idee.

Caro direttore, so bene che per rimettere le cose a posto ci vorrebbe di nuovo un Giovanni Gualberto, ci vorrebbero frati capaci di affrontare la prova del fuoco, ci vorrebbe un popolo cristiano disponibile per lo meno ad indignarsi. E invece, sempre meno e sempre più stanchi ci rifugiamo nelle nostre chiese, dove spesso qualche giovane prete non molto alfabetizzato ci percuote, e ci umilia quali peccatori, quasi fosse nostra la colpa se le panche del vicino sono vuote.

Ma tutto questo sarebbe poca cosa se non fosse diffusissimo il disagio per la confessione, dove forse il confessato dovrebbe confessare il confessore, e il sospetto che le madri hanno nel fare del loro figlio un chierichetto, e la stanchezza che avvolge, noi nonni chiamati a testimoniare il nostro credo a figli e nipoti. Dopo aver lottato una vita intera – troppo facile era in certi anni – non a dirci con orgoglio interessato cristiani e cattolici, ma a pregare e soffrire ogni giorno per riuscire ad essere tali. Senza proclami. Mille anni dopo, la Chiesa torna a mettere in forse la sua stessa esistenza. E allora, chi ancora può farlo esca allo scoperto.

E ringraziando Folena che lo ha fatto per primo, si dica disponibile all’azione. Quale? Decidiamolo insieme, direttore, nelle forme che crederai opportune. Ma almeno scandalizziamoci, urliamo la nostra sofferenza, diamo uno sbocco alla nostra sconfitta, e insieme torniamo a credere che Cristo è comunque nella storia. Laici, per cortesia, laici rispettosi della gerarchia ecclesiale ma comunque laici. Di questo non ho mai avuto dubbi. Me lo insegnarono don Mario Lupori, don Ajmo Petracchi, don Cuba, Padre Turoldo, i maestri miei e di tantissimi altri.

Maurizio Naldini

Ci conforta molto, caro Maurizio, la tua autorevole opinione. Autorevole per il tuo decennale impegno nel volontariato cattolico e per la tua storia di inviato di lungo corso. Spero davvero che certi interventi come quello dell’amico Umberto Folena (peraltro anche lui con una storia di inviato oltre che di impegno nell’associazionismo) possano un po’ scuoterci. Ti ringrazio anche per le parole di apprezzamento per il nostro lavoro ormai, purtroppo, sempre meno compreso e da molti ritenuto perfino inutile. Sono convinto anch’io che invece un ruolo, nella nostra modestia, lo abbiamo ancora. Ed è in quello che tu giustamente chiami il «grande confronto delle idee». Noi ci stiamo provando, soprattutto grazie al contributo di amici autorevoli che hanno qualcosa da dire e che hanno ancora voglia di spendersi per la giusta causa.

Andrea Fagioli