I cattolici e l’esaltazione della forza
Gli ultimi avvenimenti vengono ora portati a dimostrazione dell’esattezza di quella analisi: «il più forte vince e quindi ha ragione». Poco importa se il più forte ha vinto a prezzo di migliaia di morti, di distruzioni vastissime, delle sofferenze di gran parte di un popolo, della violazione del diritto, dell’umiliazione delle istituzioni internazionali, del disprezzo per l’opinione pubblica, dello sperpero di miliardi di dollari, della devastazione del patrimonio culturale…
E in certi ambienti, che pur sarebbero alieni dalla logica della forza, si comincia ad accettare la «lezione» del realismo: rischiando però di incorrere in una «overdose» di realismo, che porta a giustificare qualunque «stato di fatto», sulla base della considerazione che il più debole appunto in quanto tale non può alterare i rapporti di forza a danno del più forte: per cui l’unica alternativa è convivere con il più forte assecondandolo e cercando di condizionarlo. Dimodochè il così detto «riformismo» degli ambienti in questione si risolve… nel lasciare le cose come stanno, nella convinzione che le riforme sostanziali siano inattuabili.
Si rivelano qui le insufficienze di una posizione favorevole alla pace, che però non si basa su principi più profondi. E non è un caso che la prosa insinuante di Giuliano Ferrara si dia da fare quotidianamente per «depurare» il giudizio politico da ogni considerazione morale o spirituale, considerata velleitaria e infantile.
In questo quadro, la lezione appassionata del Papa, dei suoi collaboratori, e dei Pastori della Chiesa, si pone con tutta la sua autorevolezza e la sua incisività. Il richiamo al fine dell’uomo, alle esigenze di giustizia fra i popoli, all’efficacia del perdono, alla necessità di ottenere la pace con la conversione del cuore, sovrasta qualsiasi successo militare, anche se come rilevava Stalin il Papa non dispone di divisioni.
Sono anch’io stupito dello «smarrimento» di molti politici cattolici che ha però cause ben precise. Di fronte agli interventi del Magistero così puntuali e impegnativi è mancata quella traduzione culturale e politica propria dei laici, soprattutto se impegnati in politica. Da troppo tempo il progettare politico langue e così si approda ad una «overdose di realismo» che finisce per giustificare il fatto compiuto, soprattutto se appare, almeno nell’immediato, vincente.