I cattolici e l’esaltazione della forza

Caro Direttore, gli articoli di Franco Cardini e di Claudio Turrini sull’ultimo numero del settimanale non possono restare senza ulteriori riflessioni. Quegli articoli hanno messo in evidenza come i motivi politici ed economici dell’iniziativa bellica americana si colleghino e si condensino in una piattaforma ideologica avente influenza decisiva sulla dirigenza e sulla cultura degli Stati Uniti. Si tratta della più radicale esaltazione della forza e del potere che mai si sia vista dalla fine della guerra mondiale: che volutamente rinnega i principi della tradizione americana, e cioè la fiducia nella funzione pacificatrice del commercio, della diplomazia, delle istituzioni internazionali, dei rapporti culturali. Tanto da preferire le citazioni di Al Capone ai 14 punti di Wilson.

Gli ultimi avvenimenti vengono ora portati a dimostrazione dell’esattezza di quella analisi: «il più forte vince e quindi ha ragione». Poco importa se il più forte ha vinto a prezzo di migliaia di morti, di distruzioni vastissime, delle sofferenze di gran parte di un popolo, della violazione del diritto, dell’umiliazione delle istituzioni internazionali, del disprezzo per l’opinione pubblica, dello sperpero di miliardi di dollari, della devastazione del patrimonio culturale…

E in certi ambienti, che pur sarebbero alieni dalla logica della forza, si comincia ad accettare la «lezione» del realismo: rischiando però di incorrere in una «overdose» di realismo, che porta a giustificare qualunque «stato di fatto», sulla base della considerazione che il più debole – appunto in quanto tale – non può alterare i rapporti di forza a danno del più forte: per cui l’unica alternativa è convivere con il più forte assecondandolo e cercando di condizionarlo. Dimodochè il così detto «riformismo» degli ambienti in questione si risolve… nel lasciare le cose come stanno, nella convinzione che le riforme sostanziali siano inattuabili.

Si rivelano qui le insufficienze di una posizione favorevole alla pace, che però non si basa su principi più profondi. E non è un caso che la prosa insinuante di Giuliano Ferrara si dia da fare quotidianamente per «depurare» il giudizio politico da ogni considerazione morale o spirituale, considerata velleitaria e infantile.

In questo quadro, la lezione appassionata del Papa, dei suoi collaboratori, e dei Pastori della Chiesa, si pone con tutta la sua autorevolezza e la sua incisività. Il richiamo al fine dell’uomo, alle esigenze di giustizia fra i popoli, all’efficacia del perdono, alla necessità di ottenere la pace con la conversione del cuore, sovrasta qualsiasi successo militare, anche se – come rilevava Stalin – il Papa non dispone di divisioni.

Sono abbastanza stupito che, in presenza di una così vasta eco degli interventi della Chiesa nella coscienza pubblica, i laici cattolici, qualificati o meno come tali nella loro attività politica o culturale, appaiano tiepidi o smarriti. Riaffermare con vigore il valore imprescindibile della pace, e il rifiuto della guerra, anche quando i laici di matrice illuminista non riescono a farne valere le radici profonde, dovrebbe essere il loro compito primario. Ed invece non vedo, per il momento, nessun esponente di un qualche rilievo prendere decisamente questa inequivoca posizione, rischiando magari la propria immagine a breve termine. Il realismo è una virtù; ma la realtà va vista con l’occhio della storia. I grandi mutamenti del XX secolo (la decolonizzazione, il crollo del comunismo, l’unità europea) si sono verificati non certo per la vittoria delle armate; mentre le superpotenze militari non sono riuscite a vincere nè in Vietnam nè in Cecenia. Un’accettazione miope ed acritica della realtà contingente può significare (come rilevava il presidente Scalfaro) «cupidigia di servilismo».Piero BrunoriFirenze

Sono anch’io stupito dello «smarrimento» di molti politici cattolici che ha però cause ben precise. Di fronte agli interventi del Magistero così puntuali e impegnativi è mancata quella traduzione culturale e politica propria dei laici, soprattutto se impegnati in politica. Da troppo tempo il progettare politico langue e così si approda ad una «overdose di realismo» che finisce per giustificare il fatto compiuto, soprattutto se appare, almeno nell’immediato, vincente.