Guerra, il referendum e il Papa

Guerra, un referendum discutibileCaro Direttore,ho trovato assai discutibile il referendum lapidario, indetto, per via telematica, da Famiglia Cristiana: «Nella guerra all’Iraq tu da che parte stai? Col Papa o con Bush?».Come cattolico concordo con le articolate posizioni assunte dal Pontefice sulla guerra, e le accetto, anche se non espresse ex cathedra. Considero, però, di cattivo gusto il paragonare la sua persona con quella di un qualsiasi capo di stato, anche se di una grande nazione. Tale quesito, a mio parere, porterà alla testata un incremento delle vendite col rischio di sacrificare una santa battaglia sull’altare del pacifismo fondamentalista, farcito di slogan e di messaggi demagogici.Andrea JardellaLivorno Guerra, dalla parte del PapaCaro Direttore, ho appena ascoltato alla radio l’intervento di un noto esponente politico il quale, ricorrendo a dotte citazioni, qualifica come stupida la domanda, proposta recentemente da un giornale, se stare col Papa o stare con Bush sulla questione della guerra in Iraq. Considero l’autore di questa uscita uno dei rappresentanti di maggior spicco della cultura contemporanea nel nostro paese e immancabilmente cerco di sottoporre ad un supplemento di esame le mie personali e modeste opinioni, quando queste non coincidono con quelle di un maestro.

In questo caso direi tuttavia che una domanda è una domanda, così come una carota è una carota, per dirla con Cechov. Stupido (si fa per dire, naturalmente) è semmai chi cerca di sottrarsi alla risposta non sapendo, o non volendo, coglierne il senso.

Personalmente sto dalla parte di Bush quando vuole disarmare il terrorismo. Anche il Papa, su questo punto, sta con Bush. Ce lo dice tutti i giorni. Ma non vuole la guerra. Non credo che il Papa metta in dubbio la buona fede del presidente Bush, o del premier Blair, o dello stesso Berlusconi, quando dicono di considerare la guerra come l’ultima strada percorribile, esaurite tutte le altre possibilità. Ci mancherebbe che la ritenessero una fra diverse opzioni disponibili! Nemmeno Hitler, aggiungerei qui, senza con questo voler azzardare dei paragoni, sentì la necessità di assicurarsi l’Anschluss con le armi potendo realizzarlo per altre vie. Ciò che ci viene chiesto, non è di ricercare soluzioni alternative, ma di trovarle, senza illudersi di poter ritornare a mani vuote e poi ricorrere alla soluzione estrema.

La nostra società ha rinunciato alla pena di morte. Chi crede in questa scelta di civiltà, non cambierà idea di fronte ai crimini più orrendi, convinto che la coscienza del nostro tempo impedisce di ricorrere a questo strumento. In guerra muoiono vittime innocenti, civili di entrambi i fronti e soldati in buona fede e puri nelle intenzioni. Se abbiamo rinunciato a praticare la pena di morte di fronte ai delitti più efferati, non possiamo arrogarci il diritto di disporre della vita di persone innocenti. C’è il problema di disarmare Saddam, di combattere il terrorismo.

Ho allevato tre figli secondo i principi della non violenza nella giustizia. Ho pianto il sacrificio di tanti poliziotti caduti nella lotta contro il terrorismo. Sono stato e sono pronto ad assumermi la mia parte di responsabilità e, se del caso, di pericolo per la difesa dei miei diritti. Ma mi rifiuto di ammettere che per snidare chi attenta alla pacifica convivenza delle persone si possa pensare di ricorrere ai bombardamenti. La responsabilità è personale, e questo vale anche per l’ultimo degli iracheni. Avremo più vittime fra i nostri soldati? La vita di un iracheno innocente vale quanto la mia vita, o quanto quella di un soldato innocente. È dura, ma non ci sono strade.Gennaro Guidamanguda@tin.it

Condivido pienamente queste considerazioni sulla possibile guerra. Per «stare con il Papa» non serve un atto di fede: è che le sue argomentazioni convincono di più sul piano razionale. Del resto nessuno si scandalizza se di fronte alle minacce di Kim Jong Il (che per nefandezze commesse non è certo inferiore a Saddam) di ripartire con il programma nucleare gli Stati Uniti, anziché minacciare la Corea del Nord di un intervento bellico volto a disarmarla, hanno scelto la via negoziale per cercare una soluzione alla crisi. Per quanto riguarda invece il referendum di «Famiglia Cristiana», capisco le perplessità di alcuni: anche se «una domanda è solo una domanda», banalizzare il quesito (come è inevitabile quando si vuol lanciare un sondaggio del genere) alla fine può nuocere alla stessa causa di chi è contrario a questa guerra. Al settimanale dei Paolini dobbiamo però riconoscere il merito di aver favorito il dibattito su un tema così importante e sul quale mi sembra che la grande stampa offra spesso un’informazione a senso unico.