Giovani e meno giovani esposti a uno «zapping» continuo
Caro direttore, ho visto in televisione sabato scorso alcuni momenti della visita del Papa a Milano. Mi ha colpito una risposta che ha dato credo a un prete in Duomo parlando di giovani e della possibilità che oggi hanno di fare uno spippolare continuo da uno schermo all’altro, dal telefonino al computer, alla televisione. Effettivamente, da nonno di un paio di nipoti nemmeno tanto grandi, mi accorgo che fanno quasi sempre i fatti loro con i loro aggeggi. Sono sempre con la testa fra le nuvole, sempre poco attenti a quello che si dice o che si fa anche quando sono con noi in famiglia e persino a tavola. Mi sembra che anche il Papa abbia ammesso che quello è il loro mondo, ci piaccia o no, e che in qualche modo vadano aiutati a capire quello che fanno. Speriamo che almeno lui ci riesca.
Luigi Sirboni
Usando qualche termine un po’ diverso, il Papa ha effettivamente parlato di come «i nostri giovani sono esposti a uno zapping continuo. Possono navigare su due o tre schermi aperti contemporaneamente, possono interagire nello stesso tempo in diversi scenari virtuali. Ci piaccia o no, è il mondo in cui sono inseriti ed è nostro dovere come pastori aiutarli ad attraversare questo mondo. Perciò ritengo che sia bene insegnare loro a discernere…. Ma oggi i nostri fedeli – e noi stessi – siamo esposti a questa realtà, e perciò sono convinto che come comunità ecclesiale dobbiamo incrementare l’habitus del discernimento». Queste, dunque, le parole del Papa dalle quali si capisce che il problema non è solo dei giovani. Basta guardarsi in giro per strada per vedere quanti, giovani e vecchi, viaggiano con l’iphone in mano, anche quando sono in auto e guidano (e questo è pure un pericolo fisico). «Le nostre vite – come ha scritto di recente Gigio Rancilio nella sua interessante rubrica “Vite digitali” su “Avvenire” – sono legate a doppio filo con il mondo digitale. Per questo occorre educare ragazzi e adulti (soprattutto i genitori) a diventare cittadini digitali. Prima ancora di insegnare loro ad usare “tecnicamente” gli strumenti digitali, dovremmo insegnare loro le “regole” del vivere civile anche sul digitale». Si pensi ad esempio all’assurdità di alcuni gruppi WhatsApp come quelli dei genitori di una classe scolastica. Da questo punto di vista «basterebbe iniziare da una semplicissima regola: non diventare con le nostre azioni digitali fonte di “inquinamento” delle vite altrui». E questo prima ancora di quel discernimento invocato dal Papa.
Andrea Fagioli