Giornali e sacramenti ai divorziati risposati

Caro direttore, ho letto in questi giorni su «Repubblica» alcuni articoli sui sacramenti ai divorziati. Mi è sembrato di capire che ci sono delle novità. Me lo può confermare?

Piero Baroniindirizzo email

Ringrazio il nostro lettore per la fiducia, ma è ovvio che io non posso né confermare né smentire. Posso solo attenermi ad alcuni fatti ed esprimere il mio parere. Per prima cosa posso ricordare che la Sala stampa vaticana ha smentito, con un comunicato ufficiale, che vi sia allo studio un documento del Pontificio consiglio per la famiglia «sulla comunione ai divorziati risposati». Ma la smentita ci offre ugualmente lo spunto per una prima riflessione: parlando «di comunione ai divorziati risposati», il comunicato sottintende che la questione riguarda appunto i «divorziati risposati», confermando un discorso diverso per i divorziati non risposati, fermo restando che per la Chiesa il matrimonio, una volta celebrato in modo valido, non può essere cancellato. Un’altra constatazione riguarda il fatto che il tema dei sacramenti ai divorziati è uno di quelli che suscitano, anche tra i credenti, molti dubbi. Ne sono prova anche le lettere che con una certa frequenza arrivano al giornale e che spesso abbiamo ospitato nella rubrica «Risponde il teologo» (alla quale tra l’altro rimando – attraverso il nostro sito www.toscanaoggi.it – per un approfondimento). Un’ulteriore constatazione è che su questo argomento i giornali laici a volte ci si buttano senza i necessari approfondimenti, quando non addirittura con una propria tesi. Gli articoli di cui parla il nostro lettore sono comparsi sulle pagine di cronaca nazionale e poi locale di «Repubblica».

Nel primo caso si parlava di «mondo cattolico in pressing sul Papa» per il «sì alla comunione per i divorziati» e si citavano, per l’appunto, due vescovi toscani: Riccardo Fontana di Arezzo-Cortona-Sansepolvro e Italo Castellani di Lucca. Nel secondo caso, ripartendo dai due vescovi toscani, si diceva che sui «sacramenti ai divorziati, i preti sono più avanti». «Più avanti», si presume, in rapporto ai vescovi. «Repubblica» lo avrebbe dedotto da un «giro» (non proprio a caso) tra alcuni sacerdoti fiorentini. In questo senso gli articoli in questione facevano tutt’altro che chiarezza, anche perché il fatto vero, a questo proposito, è che la Chiesa sta affermando da tempo (e Fontana e Castellani ne sono un esempio) l’importanza di un atteggiamento di attenzione e accoglienza verso i fedeli divorziati e risposati, ricordando, ma solo in secondo luogo, l’insegnamento in base al quale questi fedeli, al momento, non possono essere ammessi alla Comunione. Importante è che si parla di fedeli proprio per sottolineare che, avendo mantenuto la fede, non sono persone al di fuori della Chiesa, ma che appartengono alla Chiesa anche se non possono accostarsi all’Eucarestia. Questo non significa che siano più peccatori degli altri, tutt’altro: la Chiesa non intende esprimere un giudizio sulla colpevolezza o meno, anche perché nell’intimo della coscienza solo Dio vede e giudica. Il fatto di non poter accedere ai sacramenti non è assolutamente un indice di esclusione dalla vita della Chiesa. I divorziati risposati possono continuare a fare cammini di fede che li rendano partecipi e attivi nella comunità ecclesiale.

Per questo nessuno deve mai porsi di fronte a queste persone con un atteggiamento giudicante o condannante, anche se questo non significa lasciare tutto al giudizio e alle decisioni private o individualistiche: al contrario tutti devono confrontarsi con l’insegnamento della Chiesa. Poi i singoli sacerdoti con i singoli fedeli possono anche valutare caso per caso. Verità e carità sono i principi egualmente importanti che devono ispirare il giusto atteggiamento, ma la carità ha in questo caso la precedenza.

Andrea Fagioli