Don Milani, una scuola di vita per formare uomini liberi

Caro direttore, in questi giorni, grazie soprattutto alla visita del Papa a Barbiana, si sta recuperando il pensiero provocatore di don Milani sulla scuola congiunto con la sua convinzione realistica per cui chi non studiava, non solo perdeva occasioni di crescita sociale ed economica, ma aveva anche difficoltà oggettive a recepire l’essenza della religione cattolica che era il vero obiettivo di don Milani. La sua scuola serale era solo un medium per poi spiegare e far comprendere le verità di fede. Forti di questo convincimento le parrocchie dovrebbero fare una conversione a «U» istituendo scuole serali ed estive per diffondere la cultura fra giovani e meno giovani che hanno studiato di malavoglia sottovalutando la scuola, o che non hanno studiato perché avevano bisogno di lavorare. I parroci, aiutati da volontari altamente professionali, mettano in piedi queste docenze aperte a tutti i livelli sociali. Bisogna fare le cose concrete e poi insegnare (incipit facere et docere e non l’inverso). Così quello che non fa lo Stato agonizzante perso dietro cose fatue, inizi a farlo la Chiesa con il suo potente network territoriale di 50 mila parrocchie.

Gian Carlo Politi

Rilanciamo volentieri alle parrocchie la proposta dell’amico Gian Carlo Politi. Ma in questi giorni, come si ricorda anche nella lettera, non si può non continuare a riflettere su don Lorenzo Milani e sulla sua scuola unica al mondo, diversa negli orari, negli obiettivi, nei contenuti e nei metodi. Una scuola a tempo pieno a tutti gli effetti: dalle 8 del mattino alle 7 di sera. Una scuola in cui c’era corrispondenza totale fra lo studio teorico e la pratica. Una scuola di vita, insomma, capace di formare uomini liberi, che con la cultura potessero riscattare la propria povertà materiale. In questo senso la stessa Barbiana, dove il Papa è appena stato, è un percorso didattico vero e proprio, mantenuto giustamente al di fuori di ogni logica museale, nell’intento che continui a parlare e a insegnare. In una parola: a fare scuola. Quando insegnava don Milani si illuminava come quando celebrava la Messa. «Al tavolo con i ragazzi, nello studio condiviso, era esigente, non duro – a giudizio di Michele Gesualdi –. I ragazzi non dovevano perdere tempo perché il tempo è un dono di Dio che passa, non torna e non va sciupato. Dovevano attingere il più possibile dalla scuola per imparare a essere persone libere e cittadini sovrani». Un grande educatore dunque, che ha saputo aprire la mente e il cuore dei suoi ragazzi.

Andrea Fagioli