Don Milani il crocifisso lo toglieva

Caro Direttore,il tema del crocifisso nelle scuole o negli edifici pubblici è stato in questi giorni oggetto di discussione, sia sul nostro settimanale, sia sui quotidiani, sia in televisione. È un argomento che divide fra favorevoli e contrari. Credo che l’argomento meriti un giudizio più ponderato. Mi preme ricordare un avvenimento poco citato della vita di don Lorenzo Milani. Quando era cappellano a San Donato a Calenzano ed iniziò la scuola popolare serale per operai e contadini semianalfabeti il primo gesto che fece fu quello di staccare il crocifisso dalla parete. Quel crocifisso non doveva essera un ostacolo per qualcuno, ma tutti disinteressatamente erano invitati alla scuola di don Milani, comunisti, democristiani, socialisti, credenti o laici. Se le polemiche di questi giorni sottolineano soltanto l’aspetto culturale del cristianesimo, come credenti sappiamo che non ci basta: quell’uomo disteso sul legno della croce non è una cultura o una tradizione, ma è il Risorto, il Vivente.

La croce deve essere prima che sulle pareti delle nostre scuole nel nostro cuore e nella nostra vita. «…da questo vi riconosceranno», non dal crocifisso che abbiamo al collo, ma dalla testimonianza della nostra vita.

Se nelle nostra aule manca il crocifisso, ma si insegna il rispetto per la vita, l’accoglienza, la solidarietà, l’attenzione ai più poveri, non solo è presente il crocifisso, ma è presente Colui che ha detto: «Non chi dice Signore, Signore… ma chi fa la volontà del padre mio».

Stefano ZecchiFirenze

Credo che il citato episodio della vita di don Milani possa essere fuorviante. La discussione che è tornata d’attualità in questi giorni non è se i cristiani nella loro opera di apostolato (qualunque esso sia, dalla scuola all’assistenza ai carcerati) possano rinunciare anche a dei segni esteriori, pur importanti, quando li ritengano un ostacolo oggettivo alla loro attività, ma se in nome della libertà di pensiero e della multiculturalità si debbano rimuovere dai luoghi pubblici tutti i riferimenti alla nostra tradizione religiosa, come appunto il crocifisso negli uffici o nelle scuole. Qui non si tratta di difendere qualche nostro privilegio, ma di rifiutare un’idea distorta e inaccettabile di «società multietnica». Gli insegnanti farebbero bene a spiegare a tutti cosa sia il Ramadan o la festa del Kippur, ma sbagliano quando impediscono di allestire un presepe o di parlare del Natale.