Così la tv ha spettacolarizzato il suicidio assistito

Comprendere non può significare condividere scelte che a mio avviso confliggono con il rispetto della vita come bene indisponibile, e pertanto sono contrario al suicidio assistito che non ritengo debba farci sentire un Paese giuridicamente incivile se non è contemplato dal nostro ordinamento. Parimenti mi lascia perplesso il tentare di far passare come priorità per il legislatore l’esigenza di normare il fine vita con la cosiddetta dichiarazione anticipata di trattamento. Occorre che si eviti qualsiasi forma di ipocrisia giuridica, concedendo anche per via meramente omissiva, il ricorso all’eutanasia (…).

Daniele Bagnai

 

Molti vorrebbero una legge su testamento biologico ed eutanasia (…). Sono perplesso. Infatti non sempre chi soffre, anche in un reparto ospedaliero di lunga degenza vuole morire. A volte è la nostra inconsapevole incapacità di accettare il dolore che ce lo fa pensare (…). Il compito della medicina è curare l’ammalato non sopprimerlo deliberatamente, anche se negli ospedali alcuni medici segretamente, per togliere dolori orribili, fanno coscientemente una dose di morfina che regala un sonno senza risveglio. Comunque ho qualche perplessità, soprattutto sulla vera volontà di morire delle persone. Del resto oggi, che il politicamente corretto regna in maniera assoluta, è politicamente corretto pronunciarsi a favore dell’eutanasia. E così i sostenitori dell’eutanasia credono di difendere la dignità umana chiedendo ai medici di praticare l’eutanasia sui pazienti per i quali non esiste alcuna possibilità di guarigione (…).

Mario Pulimanti

Si sta discettando su una supposta «priorità» del testamento biologico nel mentre l’Italia muore di fame e di disoccupazione. Ma bisogna in primis re-interrogarci sul ruolo del medico nell’assistenza alle gestanti ed al fine vita. Il ruolo è molto chiaro: lenire dolorem e salvare vite. Una équipe medica deve essere l’unico organo a stabilire se arrestare o meno le cure a l’alimentazione dei malati terminali (…).

Gian Carlo Politi

Gentile direttore, si è appena conclusa la tragedia di Fabio Antoniani (Fabo) in una «clinica svizzera». Una tragedia che è stata subito fatta oggetto di speculazione politica e mediatica. Speculazione politica a opera di uno spavaldo parlamentare radicale (Cappato) e dei «soliti altri». Speculazione mediatica a base di sensazionalismo e disinformazione, condotta da ampi settori giornalistici, docilmente orientati in senso «pro morte». Cappato, bontà sua, ci ha elargito una spettacolare «intervista» davanti a una selva di microfoni come un divo della ribalta hollywoodiana (…). Mancavano solo i riflettori. Facile sarebbe, di fronte a simili trucchi, indulgere ad un senso di sgomento e cadere in un clima di rissa. Ma sappiamo benissimo che proprio questo è l’intento di «lor Signori». D’altra parte, lo squallore è facilmente riconoscibile, anche se spacciato per nobile sentire.

Vedran Guerrini

Che il suicidio assistito di Fabiano Antoniani creasse dibattito anche tra i nostri lettori era ovvio. Troppo importante, infatti, il tema in questione per non essere dibattuto. Noi ne abbiamo parlato in modo specifico nel numero scorso, mentre già da due settimane stiamo pubblicando una serie di approfondimenti sul disegno di legge sul fine vita. In questo numero, però, oltre che con un altro servizio della serie «Verso la legge sul fine vita», torniamo a mente più fredda sul «caso Dj Fabo» con un editoriale di Giuseppe Savagnone alla cui ottima riflessione rimando i nostri lettori.

Qui pubblichiamo solo alcune delle lettere arrivate sull’argomento (tra l’altro parzialmente tagliate per ragioni di spazio, mentre altre vedremo di pubblicarle nel prossimo numero) che spingono soprattutto a un ragionamento su come i mezzi di informazione hanno affrontato la drammatica vicenda. In questo mi rifaccio anche a quanto scritto per il «Sir» dal nostro editorialista Adriano Fabris, docente di Etica della comunicazione all’Università di Pisa, il cui intervento è comunque pubblicato integralmente anche su questo sito. Premetto anche che nessuno di noi intende giudicare la persona Fabiano Antoniani, alla quale va tutto il rispetto. Così come esprimiamo tutta la vicinanza possibile ai familiari per un fatto che ha provocato profondo dolore anche in chi si è sentito corresponsabile di non avere offerto a questa persona un motivo valido per continuare a vivere nonostante tutto.

Purtroppo, però (e qui entriamo nel merito dell’informazione), la vicenda di Fabiano Antoniani è stata, in molti casi, «spettacolarizzata», come dice Fabris senza mezzi termini, facendo leva sui sentimenti per cercare consenso. L’immagine sofferente del giovane e la sua voce stentata sono state ripetute all’infinito senza ritegno e senza rispetto della persona stessa di cui, anche attraverso il nome d’arte, si è preferito dare l’idea del personaggio per un messaggio semplificato che trasmettesse emozione. È una strategia comunicativa ben conosciuta dai radicali che sin dai tempi del divorzio e dell’aborto, come rileva Savagnone nell’editoriale rammentato, propongono storie estreme capaci di indirizzare emotivamente l’opinione pubblica. Per farlo, questa volta, si sono utilizzate espressioni o metafore come «libertà», «viaggio» e «sogno», ma la libertà di Dj Fabo è coincisa con la morte in un viaggio senza ritorno: un incubo più che un sogno.

Si è anche fatta volutamente confusione con il disegno di legge sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento che riguarda le terapie, le cure, l’eventuale rinuncia a macchinari che tengono artificialmente in vita e non prevede in alcun modo l’eutanasia. Ma non solo: si è fatta confusione persino con la sentenza di Trento sui due padri e sulla maternità surrogata, oppure, come nella trasmissione di Bianca Berlinguer, «#cartabianca» su Rai 3, mettendoci dentro anche l’aborto. In quel caso la tesi è stata totalmente a senso unico dato che in studio era presente Emma Bonino, mentre in collegamento video c’era Marco Cappato e a corredo è stata mandata in onda un’intervista registrata a Valeria, la fidanzata di Fabiano.

C’è stata complessivamente molta assonanza anche nei Tg. In qualche caso si è persino rispolverato il cosiddetto «metodo del panino», quello un tempo usato nei pastoni politici quando si mettevano le voci della maggioranza all’inizio e alla fine e nel mezzo quella dell’opposizione. In questo caso la voce contraria è stata messa nel mezzo a due favorevoli al suicidio assistito o all’eutanasia, che di fatto rimanevano quelle più impresse nel telespettatore. Eppure, i mezzi di informazione non dovrebbero fare da cassa di risonanza per i sostenitori di una tesi o dell’altra, bensì, soprattutto su certi argomenti che riguardano l’esistenza, la vita e la morte, dovrebbero favorire un ragionamento al di là delle emozioni. Ma non succede quasi mai.

Andrea Fagioli