Con l’Islam dialogo inopportuno

Caro Direttore,i fatti di questi giorni ci portano a riflettere su come deve porsi il rapporto tra cristiani e musulmani per il presente ed ancor più per il futuro se è vero, come è vero, che la presenza islamica in Europa assume sempre più larghe dimensioni. Giorni fa è terminato il Ramadan.

Questa rituale celebrazione religiosa è stata ricordata dai mezzi di comunicazione con notevole dovizia di informazione. In alcuni centri del Nord Italia ha visto la partecipazione attiva anche di esponenti del clero cattolico locale. A Treviso due rappresentanti del Vescovo erano presenti nel Palazzo dello Sport concesso dalla famiglia Benetton alla chiusura del Ramadan ed hanno preso la parola con dichiarazioni a dir poco inopportune.

A Milano monsignor Alberti, in rappresentanza dell’arcivescovo, cardinale Dionigi Tettamanzi, ha partecipato alla cerimonia conclusiva di questo digiuno mensile ed aveva con sé un messaggio da leggere nel corso del rito. Non gli è stato concesso la facoltà di parlare, ma solo di lasciare il testo di saluto dell’Arcivescovo milanese.

Ci domandiamo se le aperture cordiali alla religione islamica e la disponibilità al dialogo tra cristiani e musulmani ha da essere la nuova caratteristica della missione ecclesiale o della pastorale del nostro tempo. Penso proprio di no. Il mandato di Gesù a Pietro «pasce oves meas», «cura ed aiuta il mio gregge» pone chiari ed insuperabili limiti alla confusione con chi, per secoli, ha sanguinosamente lottato per estirpare il cristianesimo dalla faccia del mondo. «Se in qualche luogo non sarete accettati o peggio se vi cacceranno da esso (casa o città), lasciate soli chi vi respinge e liberate i vostri calzari e la vostra veste dalla polvere del luogo medesimo». Questo è il messaggio della Divina Sapienza del quale dovremmo tenere conto, non per spirito di vendetta o di emulativo disprezzo, ma in nome di quanti, a causa del Corano, ieri come oggi, hanno patito distruzioni, persecuzione, morte e quotidiano disprezzo: ricordiamoci dei cristiani di Indonesia, Sudan, Nigeria, Palestina, Arabia saudita e Pakistan.

Rispetto per tutti, carità verso tutti che è anche missione quotidiana di civiltà, ma comunione o compromissione può diventare un’insidiosa tentazione a danno di chi invece attende da noi chiarezza di insegnamento e coerente atteggiamento proprio ora che la sistematica e lenta penetrazione dell’Islam rende più pericolosa la sua presenza in mezzo a cristiani troppo frastornati e sempre meno pensosi del loro messaggio di cultura e di fede. Umberto MartiniMassa L’Islam ha costituito fin dalla sua nascita una sfida forte per i cristiani, non solo sul piano sociale e politico, ma anche teologico. «Perché Dio – si chiedeva il card. Martini nell’omelia della festa di Sant’Ambrogio del 1990 – ha permesso che l’Islam, unica tra le grandi religioni storiche, sorgesse sei secoli dopo l’evento cristiano… Che senso può avere nel piano divino il sorgere di una religione in certo modo così vicina al cristianesimo come mai nessun’altra religione storica e insieme così combattiva, così capace di conquista, tanto che alcuni temono che essa possa, con la forza della sua testimonianza, fare molti proseliti in un’Europa infiacchita e senza valori?».Ma è una sfida che va raccolta, come non si stanca di ripetere Giovanni Paolo II. Senza nascondersi, certo, rischi e difficoltà che ci sono, ma cercando di leggere alla luce della fede questo «segno dei tempi» costituito dall’arrivo in mezzo a noi di tanti fratelli musulmani.Il Concilio Vaticano II, nella «Lumen Gentium» (n. 16), afferma che «il disegno di salvezza abbraccia anche coloro che riconoscono il Creatore e, tra questi, in particolare i musulmani, i quali professano di tenere la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico, misericordioso, che giudicherà gli uomini nel giudizio finale». E nel decreto «Nostra Ætate» sulle relazioni della Chiesa cattolica con le religioni non cristiane si dice che «la Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni» e «considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere quei precetti e quelle dottrine che non raramente riflettono un raggio di quella Verità che illumina tutti gli uomini». In particolare afferma di guardare con stima ai musulmani che «cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come si è sottomesso anche Abramo, a cui la fede islamica volentieri si riferisce» (n. 2).E a proposito dei «dissensi e inimicizie che sono sorti nel corso dei secoli tra cristiani e musulmani», il Concilio «esorta tutti a dimenticare il passato e ad esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme, per tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà» (n. 3).Come vede l’arcivescovo di Milano e quello di Treviso, che le assicuro non sono degli sprovveduti, si sono mossi non solo sull’esempio di Giovanni Paolo II (che lo scorso anno chiamò i cristiani addirittura a digiunare con i musulmani il 17 dicembre, ultimo giorno del Ramadan), ma sull’insegnamento del Concilio. Questa è la Chiesa, mentre le sue – pur rispettabilissime – sono solo opinioni personali.