«Con le ipotesi sull’inferno state portando i lettori fuori strada»

Gentile Direttore, premetto che a motivo della mia (alle volte) «rude» franchezza non chiedo né mi aspetto che quanto segue venga pubblicato, perché so che una certa linea editoriale, imposta o autoimposta che sia, prevede delle limitazioni da rispettare. Pertanto questa mia vorrebbe essere più che altro una informazione per la redazione.

E vengo al dunque. Già circa dodici anni fa ebbi modo di leggere su Toscana Oggi una risposta del prof. Turchi data a un quesito di un lettore in merito alla questione dell’inferno. Non mi ricordo più i termini precisi, ma provocò una mia reazione piuttosto vivace, e forse proprio per questo non venne pubblicata. Ora mi riferisco alla lettera del signor Marcello Bardotti e a quanto lui riferisce circa la riposta di Athos Turchi apparsa su Toscana Oggi dell’8 luglio e alla sua risposta. Non ho potuto leggere direttamente la risposta del prof. Turchi su numero del 3 giugno, ma stando a quanto dice il signor Bardotti avrebbe ipotizzato in sostanza che dopo la morte «ad ognuno il Signore chiederà se vuole entrare in Paradiso m e solo in caso di rifiuto si aprirà la strada dell’inferno».

Se questa è stata veramente l’ipotesi del prof. Turchi (ma merita veramente la dignità di ipotesi?), in tutti i miei anni non ricordo di aver mai letto qualcosa di così stravagante. E questo è ancora nulla rispetto al pericolo che certe affermazioni, pur presentare in forma di ipotesi da parte di teologi affermati, possono rappresentare per anime semplici o comunque non sufficientemente istruite nella dottrina cattolica, le quali potrebbero essere erroneamente indotte a ritardare l’abbandono di una vita di peccato e a rimandare una conversione assolutamente necessaria per la salvezza («Se non vi convertite… non entrerete nel Regno dei Cieli»). Io personalmente nutro la viva speranza – per quanto questo non sia esplicitamente né insegnato né previsto nella dottrina cattolica – che Dio nella Sua infinità misericordia in certi casi previsti da Lui solo e forse in risposta alle preghiere di chi intercede per loro loro voglia sospendere il giudizio dopo la morte del peccatore illuminando la sua coscienza così da dargli la possibilità di pentirsi e così di essere perdonato. Ma questa è una cosa ben diversa da quanto ipotizza Athos Turchi.

A mio giudizio bisogna fare molta attenzione a ciò che si pubblica su tematiche tanto importanti quanto delicate, sapendo che per lo più non vengono lette da specialisti o perlomeno da persone in possesso di adeguati strumenti critici, ma, come detto, più spesso da persone semplici che non vanno assolutamente portate fuori strada. Ora una parola sulla sua risposta, caro direttore. Trovo sorprendente la sua affermazione che le risposte del teologo impegnano il settimanale, ma nessun altro, né Facoltà né diocesi. Per la verità mi sembrerebbe più logico il contrario. Ciò significa che tanto lei che la redazione si sentirebbe di sottoscrivere e magari di fare proprie le «ipotesi» di Athos Turchi nonostante che queste contrastano apertamente con tutto il patrimonio dottrinale della Chiesa cattolica in materia, solo perché espressa in forma ipotetica e pertanto non passibile di censure?

E ancora. Lei dice anche che non le risulta che vescovi e sacerdoti non avrebbero eccepito a quanto ipotizzato dal prof. Turchi, ma solo alcuni lettori. Questo, lungi da essere una cosa consolante, la dice lunga sulla sensibilità pastorale dei nostri Pastori, se a intervenire e magari a «insorgere» debbono essere dei semplici lettori laici. Una parola molto franca a proposito di padre Athos Turchi. Dati gli antefatti, da anni e anni tutte le volte che leggo «Risponde Athos Turchi» semplicemente chiudo la pagina e arrivederci alla prossima settimana. Sarà meritevole della massima stima da parte di innumerevoli lettori, ma non ha la mia. Poi non ho mai capito perché se è un professore di filosofia gli vengano affidate delle tematiche teologiche. Mi piacerebbe saperlo. Non ci sono già ottimi teolologi? Penso per esempio a Mons. Basilio Petrà. Nec Sutor ultra crepidam, verrebbe da pensare. La prego di volermi scusare per la lunghezza e per il tono a volte tranchant, ma mi sentivo in coscienza di doverlo fare.

Francesco SantiPrato

Non è frequente in questa rubrica tornare su uno stesso argomento a distanza di un paio di numeri. Se ci torno è per due motivi. Il primo perché l’argomento dell’inferno sembra interessare molto i lettori. E non potrebbe essere diversamente, visto che si tratta di un tema fondamentale non solo per la nostra vita attuale, ma addirittura per quella eterna. Il secondo motivo è che avverto un certo fastidio quando si pensa che questo giornale attui chissà quali forme di censura secondo «una certa linea editoriale, imposta o autoimposta che sia».

Mi spiace, caro Santi, ma come vede non è così. Anche se sulla lettera di dodici anni fa onestamente non so che dirle. Io c’ero, ma non ero direttore. L’unica cosa che posso dirle è che il compianto Alberto Migone, direttore all’epoca, era una persona particolarmente aperta e libera e se nella circostanza non pubblicò la lettera sono convinto che avesse i suoi validi motivi. Anche oggi è ovvio che non pubblichiamo tutto, ma, come spiegato altre volte, solo nel caso che gli scritti non abbiano nessun intento costruttivo o contengano offese. Le critiche, invece, le accettiamo, anche se non sono tenere, e le ribattiamo, come in tutti i dialoghi seri, con civiltà e rispetto, a partire da quelle a padre Athos, che trovo ingenerose e prive di fondamento. Per il resto non posso che ribadire quanto detto due numeri fa, ovvero che padre Athos non metteva in discussione l’esistenza dell’inferno, che è una verità di fede, ma ipotizzava un qualcosa, nel momento del trapasso, che potesse mettere tutti nella condizione di essere abbracciati dall’Amore di Dio e di lasciare l’inferno vuoto. La lontananza da Dio, chiosava padre Athos nella risposta (che lei, caro Santi, dice di non aver letto, però la critica), è «spaventosamente grande, atroce e orrenda, che non va desiderata per nessuno».

Un’affermazione del genere significa che uno crede talmente tanto nell’inferno come lontananza da Dio da avere il terrore di finirci. Io, per quello che vale, condivido questo in pieno. E siccome siamo tutti peccatori, continuo a sperare, prima di tutto per me, che l’infinita Misericordia di Dio s’inventi qualsiasi cosa pur di abbracciarci tutti per l’eternità.

Andrea Fagioli